Politica

«Possiamo evitare una catastrofe»

L'intervista a Pierre-Yves Maillard, presidente USS e consigliere nazionale PS: «Marina Carobbio andrebbe clonata»
Andrea Stern
Andrea Stern
18.09.2022 07:00

Questo settembre è «il mese di tutte le catastrofi», per Pierre-Yves Maillard.C’è l’aumento dei premi di cassa malati, l’aumento del costo dell’energia, l’aumento generale dei prezzi. «Però la popolazione può ancora evitare ulteriori catastrofi - previene il presidente dell’Unione sindacale svizzera (USS) e consigliere nazionale PS -. Deve solo mobilitarsi e mandare un segnale chiaro al governo il prossimo 25 settembre».

Signor Maillard, crede che il governo non sia consapevole della situazione?

«Io vedo un Consiglio federale passivo, che prosegue con la politica che ha condotto finora, quando dovrebbe invece prendere coscienza di questa nuova realtà. Significa aiutare chi ha bisogno, sostenere le famiglie, difendere le rendite, non abbassare le tasse ai ricchi».

Voi socialisti proponete sempre di usare i soldi della BNS. Ma quest’anno la BNS sta registrando decine di miliardi di franchi di perdite.

«A coloro che detengono centinaia di miliardi può capitare un anno di perdere qualcosa. Ma sul lungo periodo diventano sempre più ricchi. Altrimenti si dovrebbe dire che il capitalismo è finito, ciò che non mi sembra il caso».

Quindi si potrebbe rimpolpare l’AVS con i soldi della BNS?

«Certo che si può. La BNS ha mille miliardi di capitale, di cui 11 miliardi guadagnati grazie ai tassi negativi. Noi chiediamo che questi miliardi siano restituiti all’AVS».

Non è una soluzione a lungo termine.

«La soluzione sta nell’aumento dei contributi salariali, come si è sempre fatto. Tre anni fa abbiamo trovato due miliardi in più per l’AVS semplicemente aumentando dello 0,15% i contributi di lavoratori e datori di lavoro. È stato un aumento talmente indolore che nessuno se ne ricorda. L’ho dovuto ricordare persino al nostro consigliere federale Alain Berset, durante un recente dibattito».

È però un dato di fatto che oggi si inizia a lavorare sempre più tardi. Non crede che prima o poi l’età di pensionamento andrà comunque innalzata?

«Oggi quello che succede è che coloro che iniziano tardi, a 30 anni, sono coloro che hanno i migliori salari e che smettono prima. Mentre a coloro che iniziano a lavorare a 15 anni si chiede di continuare fino a 65 anni se non oltre».

Sarebbe meglio un sistema basato sugli anni di contributi?

«Penso di sì. L’altro giorno ho discusso con un elettricista in Vallese, che mi ha detto di aver lavorato per 50 anni di fila, senza pause, dai 15 ai 65 anni. Eppure non ha diritto alla rendita intera. Ecco, vogliamo davvero chiedere a queste persone di lavorare ancora di più? Se Eveline Widmer-Schlumpf, che dice di emanciparsi con il lavoro, vuole lavorare più a lungo lo faccia pure, nessuno glielo impedisce. Ma coloro che lavorano duro - infermieri, venditori, autisti - arrivano a sessant’anni che non ce la fanno più».

Avere la stessa età pensionabile per donne e uomini non è una questione di uguaglianza?

«Lo sarebbe, se l’uguaglianza fosse completa. Ma sappiamo che, a parità di qualifiche e responsabilità, le donne guadagnano il 10% in meno degli uomini. Questo si ripercuote sulle rendite. Quindi, se sono penalizzate, cosa facciamo? Iniziamo togliendo loro qualcosa? Io credo sia meglio dapprima perseguire l’uguaglianza salariale, poi si può discutere».

Parliamo di sindacati. Perché continuate a perdere iscritti?

«Abbiamo conosciuto una lenta erosione dei membri, perché in certi settori in cui eravamo molto forti ci sono state delle perdite di impieghi. Ma ora la situazione è più stabile, forse possiamo sperare in una nuova tendenza».

Rappresentando solo il 13% della forza lavoro, i sindacati hanno ancora un peso politico?

«Abbiamo comunque dieci volte più membri dei più grandi partiti politici. E poi forse andrebbe rivisto lo statuto di membro. Noi oggi abbiamo 360.000 associati, ma abbiamo anche 300.000 persone che ci sostengono con soldi o firme nella lotta per l’AVS. Non bisogna per forza essere componenti di un sindacato per condividerne le cause».

Non è facile fare sindacalismo in un mercato del lavoro sempre più frammentato.

«È vero, è più difficile fare sindacalismo come lo si faceva un tempo. Ma siamo comunque in una fase di crescente mobilitazione, lo abbiamo visto per esempio durante lo sciopero delle donne nel 2019. La nostra sfida è quella di riuscire a incanalare questa mobilitazione in un’organizzazione stabile».

Lei l’anno prossimo intende lasciare il Consiglio nazionale e puntare agli Stati. Perché?

«Abbiamo visto in questa legislatura che al Nazionale siamo riusciti a ottenere tanti buoni risultati, ma poi gli Stati ci hanno impedito di avanzare. È dunque importante rafforzarci anche in questa camera».

È più difficile essere di sinistra agli Stati?

«È sempre difficile essere di sinistra, ovunque. Ma io ho fiducia: con dei buoni argomenti e dell’esperienza si può riuscire a convincere».

Marina Carobbio ha deciso di abbandonare gli Stati dopo nemmeno una legislatura. Anche lei nel 2004 lasciò Berna per fare il consigliere di Stato vodese. La politica cantonale è più interessante?

«A volte siamo quasi obbligati, come politici siamo sempre a disposizione dei partiti. Io non ho mai pianificato la mia carriera, ho sempre analizzato la situazione in base alle necessità del momento, cercando di capire dove potessi essere più utile».

Ci sono più soddisfazioni in un Esecutivo?

«Sì, sicuramente. Io nel canton Vaud ho avuto la fortuna per 15 anni di poter fare ogni anno qualcosa di concreto. Abbiamo fatto un grande lavoro e mi è piaciuto, ma tutto ha una fine. Ora sono contento di essere di nuovo a Berna, dove ho ritrovato il gusto del dibattito».

Fosse Marina Carobbio, farebbe la stessa cosa?

«Penso che se sarà eletta - e spero che lo sarà - troverà piacere in questo nuovo compito. Soprattutto se potrà prendere in mano un dipartimento che la appassiona».

Per il PS nazionale però è una perdita.

«Indubbiamente. Bisognerebbe clonarla, ci vorrebbero due Marina Carobbio».