Scienza

Quando la vita è solo apparente

Da Eluana Englaro al piccolo Archie, a Piergiorgio Welby: dell’opportunità di alcune terapie si discute da sempre
04.09.2022 13:00

C’è chi assicura che medici e infermieri trattino un paziente in coma o in stato vegetativo come se fosse perfettamente cosciente. Speriamo! Dato che del cervello, affascinante quanto complesso organo, anche i più esperti ammettono di saperne ancora troppo poco. Lo conferma, con molta modestia, il neuroscienziato Martin Monti nel servizio nella pagina accanto. Due giorni fa, venerdì, ha parlato all’Usi di Lugano per la conferenza «Coma e stato vegetativo: il mistero dei disordini della coscienza». Un’occasione per tornare a discutere di un tema complesso, che pone enormi e infiniti interrogativi, che strazia e divide le famiglie confrontate con un proprio caro, spesso attaccato a una macchina e che ha bisogno di aiuto ventiquattro ore su ventiquattro. «Che sembra vivo ma non lo è più - osserva il teologo Alberto Bondolfi -, ma dalla morte cerebrale non si torna indietro». Temi di cui si parla (troppo) poco, se non soltanto in momenti eccezionali, sull’onda di casi eclatanti. Personaggi famosi, o che tali diventano grazie alla cronaca. Eppure esiste eccome una realtà quotidiana dello stato vegetativo. Ovunque, in qualsiasi parte del mondo. Cambia semmai la maniera di approcciarsi della medicina.

Dalla scienza all’etica

Se con il professor Monti l’argomento è visto da un punto di vista più tecnico-scientifico, altri interlocutori interpellati dalla Domenica affrontano quelle questioni che continuano a impegnare filosofi morali, giuristi, bioeticisti. Che straziano le famiglie. L’aspetto morale più delicato, come spiega Roberto Malacrida, già primario di medicina intensiva dell’Ente e professore di etica alle Università di Ginevra e di Friborgo (vedi a pagina 18), è quello legato al rispetto della dignità di ogni paziente soprattutto quando si trova in uno stato di gravissima disabilità intellettuale come appunto negli stati di minima coscienza.

I casi sono tanti, dicevamo. Ad Archie, il ragazzino inglese di 12 anni in coma irreversibile dal 7 aprile scorso, a luglio sono state staccate le macchine nonostante la strenua opposizione dei genitori. C’è invece chi ingaggia una lotta infinita per ‘liberare’ un figlio, un partner, un genitore dallo strazio del limbo. Un caso emblematico quello di Eluana Englaro, morta nel 2009 dopo 17 anni di coma e un braccio di ferro giudiziario portato avanti per 5750 giorni dal padre per rispettare il desiderio della figlia. «Aveva capito cos’era uno stato vegetativo permanente e giustamente rifiutava un accanimento terapeutico - dice Bondolfi -. La ragazza respirava autonomamente, alcune funzioni c’erano… ma la sua coscienza era irrimediabilmente persa». La coscienza è la capacità di percepire se stessi come persona e l’ambiente circostante, di interagire in maniera coerente col proprio io e con ciò che sta intorno. Insomma, c’è pensiero, sentimento, azione.

Sembrano vivi

Di Eluana purtroppo è pieno il mondo. «Pazienti morti ma che sembrano vivi. Una condizione operata dalla macchina», insiste Bondolfi. Dieci anni dopo Eluana, ci fu il caso di Vincent Lambert, un infermiere francese tetraplegico e anche lui in stato vegetativo dal 2008. I medici da tempo avevano escluso qualsiasi possibilità di miglioramento. Ma la famiglia si divise. La moglie, il nipote e due degli otto fratelli ritenevano la nutrizione artificiale e l’idratazione un accanimento terapeutico. I genitori invece, cattolici praticanti, consideravano l’interruzione dell’assistenza medica, decretata dal Consiglio di Stato francese, come un omicidio. «Da parte dei familiari c’è spesso la difficoltà ad affrontare una situazione improvvisa, come può essere un incidente stradale, una caduta in montagna», dice ancora Bondolfi.

In Svizzera il dibattito è in corso da diversi anni con fasi alterne. Il diritto a chiedere un arresto delle misure terapeutiche che prolungano l’agonia è garantito e applicato. Con buona pace di chi riduce il tutto a una mera questione economica Come fece una dozzina di anni fa l’allora presidente di un partito svizzero che propose di porre un limite alle cure senza speranza, 50mila franchi. Inutile dire che la polemica divampò, assieme al dibattito sull’assistenza ai pazienti in fin di vita. Ma la questione, anche se non in modo esplicito, è sempre sotto traccia, rinfocolata, anche, dal continuo aumento dei costi sanitari.

L’enigma

La vera sfida dell’esame clinico di un paziente che non ‘risponde’ a una sollecitazione del medico, ad esempio con un movimento, è capire se nel suo cervello l’attività è davvero totalmente assente. O manca la risposta motoria ma in realtà nel suo cer vello sono ben presenti emozioni, ricordi, pensieri, desideri... È la domanda delle domande. Un quesito che occupa e preoccupa medici, esperti, filosofi, psicologi cognitivi, bioeticisti, neuroscienziati che sovente si trovano confrontati con questo tipo di situazione. E che probabilmente è destinato a restare ancora a lungo un enigma.