La testimonianza

«Sono fuggita da Mariupol il giorno prima della strage al teatro»

Fuggita dalla città sotto attacco il 15 marzo, Inna Shevchuk è arrivata con la famiglia in Ticino, a Bironico — «Oggi penso a chi non ce l'ha fatta a scappare: soprattutto persone anziane che rischiano ancora la vita»
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
04.07.2022 10:36

Inna Shevchuk è scappata da Mariupol il 15 marzo. Una data scolpita per sempre nella sua memoria. Perché si è salvata dai bombardamenti. Oggi è in Ticino. A Bironico. Ma con la mente torna a quei giorni drammatici. Devastanti. Che hanno cambiato per sempre la sua esistenza e quella della sua famiglia.

Oggi Mariupol è russa. Che effetto le fa sapere che la sua città è caduta?
«Prima di tutto penso ai 50 mila morti che ci sono stati finora a Mariupol, che ormai è una città distrutta e in cui manca l’acqua potabile perché i russi hanno distrutto tutti gli acquedotti. I sopravvissuti stanno lottando tra la vita e la morte. Chi è rimasto sta vivendo davvero in condizioni difficili».

Poi cosa le viene in mente?
«Penso a chi non ce l’ha fatta a scappare. Sono state soprattutto le persone anziane. Perché per fuggire serviva avere un’automobile. Poi penso ai russi che stanno facendo una propaganda terribile. Hanno appeso bandiere, manifesti e cartelli ovunque. Bandiere della Russia, ma anche del comunismo. Qualcuno sta portando cibo e acqua agli abitanti. Ma l’emergenza è davvero totale. Sopravvivere per chi è rimasto è molto difficile».

La guerra è scoppiata il 24 febbraio. Com’era la situazione a Mariupol?
«L’esercito russo ha circondato subito la città iniziando a bombardare la periferia. Dopo 2 giorni hanno tolto l’elettricità e distrutto gli acquedotti, togliendo quindi per sempre l’acqua agli abitanti, circa 400mila persone. L’intenzione dell’esercito russo era quella di entrare subito in città con i tank ma ha dovuto rinunciare perché i nostri militari hanno resistito».

Le bombe hanno distrutto tutto: case, palazzi, ospedali, biblioteche, teatri

Poi cosa è successo?
«Sono iniziati i bombardamenti aerei che sono continuati per 40 giorni. Le bombe hanno distrutto tutto: case, palazzi, ospedali, biblioteche, teatri. Sono stati colpiti obiettivi civili. I primi a essere bombardati sono stati gli ospedali e i rifugi sotto le fabbriche, le università e i grandi palazzi».

Lei dove si trovava?
«Per un giorno mi sono rintanata nel rifugio della palestra in cui andavo. Ma ci saranno state 3mila persone, non c’era acqua e i bagni erano solo due».

Così cosa ha fatto?
«Ho incontrato degli amici che avevano una piccola casa e ci sono andata con la mia famiglia. Era in città e aveva un pozzo. Eravamo in 13 e ci siamo rimasti per 3 settimane senza mai muoverci da lì. I bambini rimanevano nascosti in cantina. Noi adulti uscivamo due o tre alla volta per andare cercare cibo e acqua. Avevamo tanto paura di uscire».

Dove vi rifornivate di cibo?
«Nei supermercati abbandonati. La polizia era d’accordo perché non c’erano alternative. Anzi, è stata la polizia a fornire aiuto, perché i pompieri non c’erano, anche se le case bruciavano e nemmeno le ambulanze erano in servizio. Il sindaco era scappato e i medicinali si trovavano solo negli ospedali».

E dopo cosa è accaduto?
«Tutti volevano scappare da Mariupol ma il problema era che non c’era benzina perché anche i benzinai erano stati distrutti. Qualcuno di noi ogni tanto andava in giro in bicicletta per chiedere ai militari se si poteva uscire dalla città. Un giorno un militare ci ha risposto di sì. Non abbiamo aspettato un minuto e siamo scappati. Era il 15 marzo. Due giorni dopo Mariupol è stata definitivamente chiusa e bombardata con tanta crudeltà».

Il giorno dopo, il 16 marzo è stato bombardato il teatro e morti sono stati almeno 600.
«Sì, in quel momento c’erano almeno 2 mila persone. Era uno dei rifugi più grandi della città. Siamo stati molto fortunati a scappare in tempo».

Ci siamo fermati per 5 giorni in un appartamento che abbiamo trovato su Internet, perché in quel paese la rete era ancora funzionante

Dopo Mariupol dove siete andati?
«Ci siamo fermati per 5 giorni in un appartamento che abbiamo trovato su Internet, perché in quel paese la rete era ancora funzionante. Avevamo però finito la benzina. Per ricevere 10 litri di benzina bisognava stare in fila per 6 ore di fila».

La vostra fuga è quindi continuata.
«Sì, siamo riusciti ad arrivare a Zaporizhzhia che in quel momento era sotto controllo ucraino. Per arrivarci abbiamo dovuto però superare diversi posti di blocco dei soldati russi. Che a ogni controllo ci guardavano i vestiti e ci obbligavano a cancellare le foto della guerra dai nostri telefoni cellulari. Si rivolgevano a noi come se eravamo degli animali».

In che senso?
«Ci davano ordini trattandoci senza umanità. «Apri la borsa, chiudi la borsa» e via dicendo. Un comportamento da persone fuori di testa».

Da Zaporizhzhia come è proseguita la fuga?
«Siamo arrivati in un altro paese, dove abbiamo lasciato le auto da un conoscente e preso un treno per la Slovenia: 24 ore di viaggio senza elettricità perché i russi potevano vederci e bombardare anche il treno. Arrivati al confine ci è venuto a prendere un mio amico di Lugano che ci ha portato fino in Svizzera».

Di quante persone è composta la sua famiglia?
«Siamo in 9. Io, i miei due figli di 15 e 17 anni, mia sorella e i suoi due figli di 12 e 4 anni, suo marito e i nostri genitori».

Ora come si sente?
«Siamo contenti e ringraziamo tanto il Ticino. L’associazione Amicizia dei popoli ci ha trovato un appartamento a Bironico di proprietà della parrocchia e ci ha dato anche cibo e i beni di prima necessità. Siamo scappati senza vestiti e senza scarpe. Inoltre l’associazione ci ha trovato anche dei corsi di italiano e ci ha messo in contatto con i Lugano Tigers, la squadra di basket. Ora mio figlio gioca lì ed è contentissimo».

Vorrei davvero che l’Europa aiutasse il mio Paese perché da noi muoiono 100 soldati al giorno e da soli non ce la faremo mai a resistere

Pensa che tornerà in Ucraina?
«Sì, quando la guerra sarà finita. Vorrei davvero che l’Europa aiutasse il mio Paese perché da noi muoiono 100 soldati al giorno e da soli non ce la faremo mai a resistere. La Russia è molto più grande. Può contare su molti più soldati, che fa arrivare anche dalla Cecenia. Abbiamo bisogno di aiuti. Senza la guerra non finirà molto presto».

Oggi Mariupol è distrutta. Che tipo di città era prima della guerra?
«C’erano tanti negozi e ristoranti. Non era una città ricca, ma neppure povera. Sono arrabbiata con il nostro governo perché ci ha abbandonati. Secondo me sapeva dell’invasione ma non ha detto nulla alla popolazione per timore che la gente bloccasse le strade».

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