Il commento

Torna Sanremo, ma la musica è un'altra cosa

Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi, Sanremo davanti alla tv – In questa società sempre più fluida in cui le certezze e le consuetudini sono sostituite da effimere tendenze, poche sono le abitudini e i riti consolidati
Mauro Rossi
04.02.2024 06:00

Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi, Sanremo davanti alla tv. In questa società sempre più fluida in cui le certezze e le consuetudini sono sostituite da effimere tendenze, poche sono le abitudini e i riti consolidati. Tra questi il Festival di Sanremo che nonostante il peso degli anni (è abbondantemente in età AVS) e sebbene qualche anno fa in molti ne avessero pronosticato l’imminente fine sulla scorta degli avvenuti mutamenti sia dell’universo musicale sia di quello televisivo, è non solo più vivo e vegeto che mai, ma ha addirittura amplificato la sua portata trasformandosi nell’unico «vero» momento mediatico comunitario dell’anno, capace di radunare davanti agli schermi una platea molto superiore a quella di ogni altro evento.

Il segreto di questa eterna longevità sta anzitutto nella sua formula. Sanremo è stato, a livello mondiale, il primo caso in cui si è riusciti a trasformare un intrattenimento leggero ed effimero in una competizione. Un’autentica rivoluzione che ha poi fatto nascere nella sua scia tutti i festival canori del pianeta - Eurovision in primis -, i «talent show» e ogni altra manifestazione tesa a trasformare l’arte in una gara (operazione teoricamente impossibile visto che si tratta di realizzazioni il cui valore non è misurabile oggettivamente ma è totalmente soggettivo): una primogenitura che le regala un’aura di credibilità capace di sopravvivere alle mode susseguitesi nei decenni.

Ma a perpetuarne il successo è stata anche la sua capacità di adattarsi alla situazione. Negli ultimi anni Sanremo ha capito che gli schermi a cui fare riferimento non sono più solo quelli «piccoli» (si fa per dire…) del televisore ma anche - e soprattutto - quelli ancora più minuscoli di computer, tablet e telefonini e ha dunque adattato il suo «format» a quegli standard, non solo arricchendo la sua proposta con una serie di contenuti per questi media, ma coinvolgendo sempre più, artisticamente, i loro protagonisti in modo da allargare ulteriormente la propria cerchia di fan.

Il risultato è un prodotto di successo che ha un pubblico tradizionale davanti alla tv e uno più giovane su tutti gli altri supporti e che proprio da questo dualismo trae la sua forza, alimentata ulteriormente dalla complicità di tutto l’universo mediatico e dell’intrattenimento italiano. Oltre alla RAI, che su Sanremo investe buona parte del suo «know how» tecnico e comunicativo, a «sorreggere» il festival ci sono tutti gli altri attori dell’universo televisivo (che, guarda caso, durante la settimana della rassegna, rinunciano a fare controprogrammazione), i grandi giornali che gli dedicano pagine e pagine in cambio di un posto in prima fila e di una citazione; i principali operatori del settore musicale (case discografiche e, soprattutto, grandi impresari) pronti ad offrire i loro migliori cavalli di battaglia - in qualità di ospiti - in cambio anch’essi di visibilità da capitalizzare poi negli eventi da loro promossi.

Il risultato è un grande calderone che tutti hanno la necessità di sorreggere affinché tutti possano trarne un beneficio. Tutti tranne - va detto - la musica, quella vera, quella costruita artigianalmente e grazie al genio e non con algoritmi o studiato a tavolino come buona parte delle canzoni sanremesi, che portano talvolta la firma anche di sei-sette-otto autori a testimonianza di come si tratti di prodotti da laboratorio e non di creazioni artistiche. Quel tipo di musica, infatti, in Riviera ha perso il diritto di cittadinanza ormai da parecchio tempo.

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