Tre franchi e 90 per un caffè: «Il Ticino non è l'Italia»

Non diventeranno poveri per questo, ma anche i politici se ne sono accorti. Al bar l'Incontro di Bellinzona, proprio davanti a palazzo delle Orsoline, il caffè dall’anno scorso costa dieci centesimi in più.
«Non avevo altra scelta».
Il proprietario Michele Gabuzzi avrebbe voluto aumentare di più il prezzo, in realtà, ma si è trattenuto.
«Sarebbe stato un trauma».
La clientela dell’Incontro è composta abitualmente da granconsiglieri, consiglieri di Stato, lobbisti e diplomatici, ma anche da molti comuni cittadini abituati a pagare l’espresso 2.40 franchi, fino al 2023. Dopo il primo rincaro, ora Gabuzzi pensa di rialzare il prezzo di altri dieci centesimi, a fine anno. Ha optato per l’aumento graduale.
Rincari ovunque
Sarà un caso, ma negli ultimi anni il Parlamento si è interrogato più volte (e ha interrogato il governo) sul rialzo dei prezzi al consumo e delle materie prime. Il caffè è una voce simbolica e anche un tabù: in Ticino la differenza rispetto al resto della Svizzera (la media nazionale è di 4.50 franchi a tazzina) è stata a lungo considerata una bandiera d’italianità. Ma le cose stanno cambiando, non solo nella tazzina dei deputati.
Nella vicina Penisola i prezzi viaggiano verso la soglia psicologica (2 euro), che verrà sforata entro fine anno secondo le associazioni di categoria. «Presto in Italia - si è scritto - il caffè potrebbe costare come in Ticino». Ma quanto costa veramente il caffè in Ticino? A furia di «ritocchini», a ben vedere, il divario con oltre Gottardo si sta assottigliando.
La Domenica ha contattato una ventina tra bar e ristoranti sparsi da Airolo fino a Chiasso, per capire come gli esercenti si sono adeguati ai rincari della materia prima (più 40 per cento la media modiale nel 2024). Emerge che in realtà il vecchio prezzo standard - 2.20 franchi - è stato sorpassato da un pezzo. Negli ultimi anni, chi più chi meno, tutti o quasi hanno messo mano al tariffario.
Fino a 3.90 franchi
Il sorso è più amaro a Lugano, Ascona e Morcote, dove per il «liscio» si superano abbondantemente i tre franchi, sebbene con eccezioni. Al Bar Battello di Ascona, ad esempio, la tazzina costa 3.90 franchi ai tavolini esterni («è il caffè più buono del lungolago» assicura la barista) ma al banco il prezzo scende a 2.60 franchi. Lo stesso prezzo « di favore» viene fatto pagare «ai clienti del posto» che lo bevano in piedi o da seduti.
Un doppio prezzo (turisti, autoctoni) che non è raro nelle località di punta, dove gli svizzero-tedeschi «non si stupiscono più di tanto di ritrovare i prezzi di Berna o Zurigo anzi un po’ meno». Lo dice anche il presidente di GastroTicino Massimo Suter (vedi l’intervista) che nel suo ristorante Della Torre a Morcote fa pagare 2.50 franchi il caffè «agli operai e alla gente del posto» mentre da listino costerebbe 3.50 (3 franchi prima della pandemia). Al bar ristorante Olimpia di piazza Riforma, a Lugano, il prezzo «svizzero-tedesco» vale per tutti, turisti e non, ineluttabile.
Altrove il prezzo varia in base alla posizione (bancone-tavolini) oppure addirittura all’orario della consumazione: prima delle 11 costa 2 franchi al Commercianti di piazza Dante, sempre a Lugano, dopo sale a 2.50 («è una promozione introdotta anni fa» spiega il personale).
La linea dei «due e venti», stando alla nostra modesta rilevazione, sembra essersi collocata ormai al di sotto di Mendrisio. Sopra, il tabù del rincaro è stato infranto anche nelle zone meno centrali: dieci centesimi in più a Giubiasco («all’inizio i clienti hanno borbottato, è vero» spiegano al bar del Borgo), dieci in più anche alla pensione Della Santa di Viganello («il fornitore ha aumentato, e noi abbiamo aumentato a nostra volta»). L’espresso a 2.30 è ormai il minimo anche nel Magnifico Borgo: «In realtà sarebbe giusto salire ancora ma non possiamo permettercelo, non siamo a Lugano» lamenta ironico Francesco Sacchi del bar Cerutti in via Lavizzari (anche qui l’anno scorso si è passati da 2.20 a 2.30).
A Chiasso prezzi "italiani"
Chiasso è l’ultima roccaforte del caffè a buon mercato, con prezzi quasi «italiani» fermi da tempo immemorabile. Il record è del bar «7 e 48» proprio di fronte alla stazione. Qui il caffè liscio - solo al bancone - costa 1.50 franchi (il cappuccino 2). «È una scelta pensata per i lavoratori delle ferrovie italiane e delle dogane, che altrimenti andrebbero a Ponte Chiasso a fare la pausa tra un treno e l’altro» spiega il titolare Antonio Rocco. Al Bar Svizzero, poco più in là, l’espresso è a 2 franchi e 20 ma scontato a 2 per i conducenti degli autobus («passano qui più volte al giorno, poveri, li aiutiamo a stare svegli»). Maria José Soler del bar Indipendenza ha aperto nel 2003 con lo stesso prezzo ed è fiera di averlo mantenuto finora: un prezzo «politico» dice. «Nel frattempo è rincarato tutto, manodopera, energia, ma se aumentassimo il prezzo del caffè scoppierebbe una rivoluzione».
Alla fine si torna sempre lì: è questione di politica. In piazza della Foca a Bellinzona Michele Gabuzzi può vedere il Palazzo del Governo da dietro il bancone del bar. Ai deputati che arrivano prima e dopo le sessioni parlamentari, da tempo ha deciso di non fare sconti: «Non sarebbe giusto nei confronti degli altri clienti. Una tazzina è una tazzina, per tutti». Anche questa è una scelta politica.
"Dovrebbe costare ancora di più"
Massimo Suter nel suo ristorante a Morcote fa pagare 3.50 franchi il caffè liscio. Ha aumentato il prezzo (50 centesimi) in risposta «ai rincari generalizzati con cui ogni ristoratore si è trovato confrontato» dopo la pandemia, i quali «devono pur essere recuperati da qualche parte, dopotutto - sottolinea - non siamo enti di beneficenza».
Nel gestire la sua cassa il presidente di Gastro Ticino è coerente, va detto, con quanto dichiara da tempo come portavoce della categoria. Ossia che «il costo del caffè in Ticino è ancora troppo a buon mercato. Dovrebbe costare due o tre franchi in più» ribadisce. «I prezzi attuali ci fanno perdere profitto in maniera stupida, se un franco vale un franco e in Svizzera interna la tazzina si paga il doppio che in Ticino, non vedo perché non dovremmo adeguarci».
Questione di sensibilità del consumatore, Suter non lo nega, ma relativizza rispetto al contesto dell’accoglienza: «Operiamo in un territorio con forte presenza di turisti svizzero-tedechi, che sono abituati a certi prezzi e sono molto più sensibili, ad esempio, al prezzo del birrino da due decilitri».
Su una cosa il portavoce dei ristoratori concorda con le associazioni dei consumatori: il prezzo del caffè non è legato tanto al costo di produzione, ma a calcoli più complessi. «Ogni imprenditore sa che dove ha più margine riesce a coprire altri costi, penso al costo del personale, dell’energia, degli affitti». Se al caffè venissie applicato il margine del filetto di manzo, co ncede, probabilmente la tazzina costerebbe 50 centesimi in Ticino. «Ma la metà dei bar del nostro cantone chiuderebbero dopo tre giorni». Non tutti gli aumenti vengono per nuocere, insomma. «Magari - conclude - proprio aumentando il prezzo del caffè un ristoratore riesce a tenere concorrenziali altri prodotti di qualità».