Il commento

Un Crus alla Ferguson per non spezzare il sogno bianconero

Dopo un anno, rieccoci qui a sognare in grande, a metterci in viaggio verso Berna per la seconda finale consecutiva con un bagaglio di speranze e di sogni
Paride Pelli
04.06.2023 06:00

Dopo un anno, rieccoci qui a sognare in grande, a metterci in viaggio verso Berna per la seconda finale consecutiva con un bagaglio di speranze e di sogni. Più che un bagaglio, un intero container. Un TIR. E tutto questo perché il FC Lugano è tornato a far battere fortissimo il cuore dei tifosi e della città, stimolando un esodo ancora più massiccio dell’ultima occasione, con ben dodicimila persone che oggi invaderanno la Capitale sovraccariche di entusiasmo e passione, proprio come dodici mesi or sono, quando il San Gallo fu letteralmente asfaltato in un atto conclusivo senza storia. I bianconeri «svizzero-americani» - con la proprietà che ha fatto capire fin da subito di voler fare sul serio - hanno avuto il merito, attraverso i risultati, di riavvicinare i tifosi dopo gli sforzi e i sacrifici di quello che era un uomo solo al comando, Angelo Renzetti. Ci riescono grazie ad una programmazione puntuale, a innesti di valore nella squadra e alla capacità di ascoltare e seguire un condottiero arrivato in punta di piedi ma che si è rivelato nel tempo un grande allenatore e un eccezionale uomo immagine.

Chi oggi oserebbe immaginare un Lugano senza il Crus, che ha centrato due finali consecutive - entrambe le volte attraverso un cammino rocambolesco e per certi versi incredibile - e chiuso due campionati agli avamposti? Probabilmente nessuno, ma a voler dire un paradosso è perché il merito non è soltanto suo. Il Crus infatti, nel solco del detto «Nemo propheta in Patria», è sì apprezzato (ci mancherebbe) ma non osannato dall’attuale proprietà, che preferisce puntare sul gruppo e sul progetto di crescita complessiva della società evitando di incardinare tutto su una sola persona, ben sapendo che i nomi, tutti i nomi, passano, ma quello del club resta. Il ragionamento, confessiamolo, non fa una grinza. Il pragmatismo e la «freddezza» - ci si passi il termine - dei vertici societari sembrano a prima vista fare a pugni con lo spirito latino e il temperamento sanguigno del Crus, un uomo, prima che un allenatore, che le emozioni non riesce proprio a soffocarle, fino a diventare coinvolgente e trascinante. Per i giocatori, per i tifosi, per tutto l’ambiente. Ma in realtà, a guardar meglio, questa presunta contraddizione tra vertice e guida tecnica è oggi la forza del Lugano, un club vieppiù strutturato e professionale nella sua immagine ma imprevedibile e sfrontato in panchina e in campo, a tal punto da far tremare uno squadrone come lo Young Boys, dominatore del campionato. Per i bianconeri è un’occasione sfidante, unica, forse leggendaria. Al Crus è stata consegnata una bella squadra, che lui ha però saputo plasmare e far crescere come il più navigato dei mister.

Comunque vada oggi, un altro traguardo il Crus l’ha raggiunto. E allora, in viaggio per Berna con una valigia di sogni - ma ripetiamolo pure: con un TIR di sogni - proviamo a pensare che lui, il Crus, meriterebbe qualcosa in più di un contratto in scadenza tra due anni. Per esempio un accordo a tempo indeterminato, anzi - diciamolo pure - a vita, che suona meglio ed è più diretto e informale, proprio come lui. Alla Alex Ferguson - 27 anni di fila al Manchester United - tanto per intenderci. Perché sarà pur vero che i nomi passano, ma il Crus è il Lugano e il Lugano è il Crus. Spezzare questo legame, con il nuovo stadio all’orizzonte, sarebbe come spezzare un sogno.