Un Paese che brucia in fretta i leader

C’è chi ha tagliato i ponti e ha mantenuto il passaporto solo per una questione di affetto. E tanti che pur avendo la doppia nazionalità – e in tutto sono in quarantamila - non sono interessati alla situazione politica dell’Italia, un Paese che gli appare sempre più distante, ormai estraneo, spesso incomprensibile. Ma c’è anche chi ha mantenuto i rapporti, torna ogni anno, si informa, si irrita, patisce e vuole esprimersi politicamente. C’è un Ticino, formato da oltre centomila persone, in media quasi un abitante su tre, che ha ricevuto dal Consolato italiano il materiale di voto per le elezioni di domenica prossima. E già questo dato, sommato agli interessi economici (dalla piazza finanziaria sino alle industrie, alle imprese che acquistano materie prime o che vendono i loro prodotti in Italia), offre l’idea di quanto sia importante questo appuntamento elettorale, da una parte all’altra del confine.
L’Italia, dunque, fra sette giorni andrà alle urne nell’elezione che – se sono veri i sondaggi pubblicati in queste settimane – verrà ricordata come quella dal risultato più scontato e dall’esito più incerto. E questo perché se da una parte sembra che il centrodestra possa riuscire agevolmente a conquistare un’ampia maggioranza in parlamento, dall’altra gli attriti fra i tre partiti di questo schieramento – Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega – stanno già affiorando in questa campagna elettorale. E una volta al governo, davanti a problemi immensi come quelli del debito pubblico, del fisco, dell’energia, della ripresa economica, i rapporti con l’Europa, le differenze sono destinate a lievitare. Lo schieramento sarà chiamato a dimostrare che una cosa è fare l’opposizione in attesa di capitalizzare la rabbia e il malcontento, come ha fatto Giorgia Meloni, un’altra è guidare un Paese complesso con problemi strutturali che nessuno ha realmente risolto (basta guardare a quello delle pensioni o della pressione fiscale).
Dalla loro, tuttavia, i tre partiti potranno contare sull’eredità lasciata da Mario Draghi, l’ex banchiere che con il suo governo che poteva contare su un’ampia maggioranza lascia sul piatto 75,3 miliardi di euro, per programmi nazionali e regionali, per dare un’iniezione di speranza alla ripresa economica prima azzoppata dalla pandemia e ora dalla guerra in Ucraina. Un patrimonio enorme che rende ancora più inconcepibile e irrazionale la scelta di mandare a casa Draghi, un leader ascoltato in Europa (e non solo) da tutti, autorevole, con una forza contrattuale e una autorevolezza indiscussi al quale serviva solo un po’ di tempo. Da chi sarà sostituito? Tutti gli osservatori politici dicono da Giorgia Meloni (dunque la prima donna a capo del governo in Italia verrà dalla destra), una politica di lungo corso. Dietro di lei personaggi che hanno già occupato posti chiave, si dice per esempio che il ministro dell’economia potrebbe essere il vecchio Giulio Tremonti (conosciuto anche Ticino). E questo la dice lunga sul fatto che l’Italia ormai da anni non riesce a esprimere una nuova classe dirigente e nuovi leader.
Ma se Meloni guiderà il prossimo governo dovrà ricordare che l’Italia è un paese che fa in fretta a portare un portare ai vertici un politico e altrettanto rapidamente lo brucia. Di esempi è zeppa la storia, l’ultimo Matteo Renzi, arrivato a oltre 40 per cento dei consensi (alle elezioni europee) e poi precipitato nel vuoto.