L'editoriale

Un primo maggio in cui tutto cambia

Nell’ultimo decennio il tempo d’impiego medio, secondo l’Ufficio federale di statistica, è passato da 1.275 ore a 1.287 ore all’anno
Mauro Spignesi
30.04.2023 06:00

Per chi aveva trovato una occupazione negli anni Ottanta, la conquista di un impiego significava uno scatto in avanti nella scala sociale, un dignitoso punto fermo nella propria crescita, la giusta contropartita dopo anni di studio e formazione, una sicurezza finanziaria che consentiva di portare avanti progetti di vita e ambizioni personali.

Oggi non è più così. Siamo di fronte a un cambiamento epocale che ha rivoluzionato scale di valori e priorità, ha fatto maturare una sensibilità dove il salto nel vuoto, lasciando il posto fisso, non fa più paura. Non per nulla ora si studiano fenomeni come «The great resignation», le dimissioni volontarie con passaggio da un’azienda all’altra. Una tendenza che ha fatto scattare l’allarme nelle aziende costrette a rivedere i contratti, aggiungere bonus, salari più accattivanti per trattenere i talenti.

In questo primo maggio che celebra la festa del lavoro mai come in passato occorre una riflessione su come sia cambiato il mondo del lavoro ma soprattutto come cambierà con le conquiste tecnologiche (ad esempio l’intelligenza artificiale), le nuove visioni delle generazioni che si affacciano a un mercato che ha già mutato il rapporto tra domanda e offerta. La vera sfida oggi è la qualità del lavoro. È attorno a questo concetto che si giocherà il futuro.

E la qualità del lavoro deve mettere in conto quello che la sociologia ha chiamato perdita di importanza relativa, il fenomeno cioè che regge i cambiamenti e che è stato tradotto in numeri da PricewaterhouseCooper, che in uno studio svela come la metà dei lavoratori svizzeri si ritiene insoddisfatto del proprio lavoro e il 20 per cento spera vivamente di cambiarlo entro un anno. Un desiderio dettato sì dalla voglia di avere un salario superiore ma anche di avere una prospettiva di carriera, più flessibilità negli orari, valorizzazione delle proprie capacità. Se un tempo chi trovava un posto fisso era disposto a mettere in secondo piano il fatto che non fosse appagato perché si accontentava di avere un salario sicuro, oggi non è più così. Le nuove generazioni, come la cosiddetta Generazione Z (i nati fra il 1997 e il 2012), hanno imparato a ragionare su un progetto di vita che può portare lontano dal proprio paese pur di sentirsi protagonisti di un processo culturale ormai diffuso.

Tutto questo ha costretto le aziende, le università e i centri di formazione, a fare i conti con le nuove tendenze. Ma ha anche creato storture, come le retribuzioni basse (tanto si pensa che il dipendente potrebbe andare via), la precarizzazione del lavoro, l’incertezza. È vero, non si può generalizzare, perché ci sono imprenditori che ancora oggi ritengono che il capitale umano sia il vero valore aggiunto di un successo. Ma certo fa riflettere il fatto, ad esempio, che in Svizzera ci sono più posti vacanti - 261.500 posizioni aperte ufficialmente, 2.100 in Ticino - rispetto alle persone in cerca di impiego: 161.864 (a marzo secondo i dati Seco riferiti al primo trimestre 2023). Manca soprattutto personale specializzato.

Per attirarlo bisogna ripartire dalla qualità del lavoro, che non può prescindere dalla qualità della vita. Le nuove generazioni hanno fissato da tempo questo nuovo valore. Ecco perché in futuro non si potrà più proporre semplicemente un posto di lavoro come un tempo ma progetti professionali capaci di tenere acceso il sogno di una vita migliore. Ed è l’augurio a tutti per questo primo maggio.

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