L'intervista

Villi Hermann, in viaggio con la fotografia

Da oggi la Val di Blenio accoglie la prima mostra fotografica del cineasta svizzero
Giorgia Cimma Sommaruga
10.04.2022 06:00

Instancabile, sempre pronto a partire con un nuovo progetto. Oggi Villi Hermann, dopo una lunga carriera da regista, espone - per la prima volta - i suoi lavori in una mostra fotografica. «Ritratti, incontri, sono per me tessere di un puzzle: una situazione che non somiglia ad una verità ricercata», confida Hermann. Oggi pomeriggio dalle ore 16 l’artista accoglierà alla Casa Rotonda di Corzoneso dove guiderà i visitatori tra i suoi scatti. La serata proseguirà al Cinema Teatro Blenio di Acquarossa con la proiezione di tre cortometraggi inediti del cineasta e due produzioni già conosciute dal pubblico.

Signor Hermann, perché ha scelto questa location?
«In quanto cineasta-fotografo sono molto onorato di poter esporre per la prima volta le mie foto in un contesto museale e specialmente in un luogo storico per la fotografia come la Casa Rotonda, dove ha vissuto Roberto Donetta, nella Val di Blenio, dove ho girato vari film».

Uno è il cortometraggio Greina (2006)?
«Proprio così. Aprirà la serata, poi spazio ai tre inediti. Lo abbiamo scelto anche per rendere omaggio al suo protagonista, il compianto alpigiano Giovanni Boggini».

Di cosa parla la pellicola?
«Sull’Alpe della Greina in Svizzera si produceva formaggio e burro con il metodo tradizionale della “caldera” riscaldata a legna. Dal 2001, però, l’alpe si è dovuta «modernizzare» per essere eurocompatibile. Così , seguendo Boggini, si spiega il cambiamento».

E gli inediti?
«Sono tutti stati pensati nel periodo della pandemia, quindi possiamo dire che grazie all’isolamento, sono nati tre prodotti interamente fatti da me senza una vera e propria interazione fisica con i miei collaboratori: Ultima sfornata, Ultima mazza e Ultime luci rosse».

«In viaggio con la fotografia» è il titolo dell’evento: che significato ha la fotografia per lei?
«Io dico sempre: Gotthard Schuh in Malcantone tornava dalle persone a cui aveva scattato una foto per lasciare una stampa in segno di amicizia. La fotografia per me è un importante elemento della memoria».

In tutti e tre i corti, la prima parola è «ultima». Non può suonare come un addio alla produzione cinematografica?
«Assolutamente no! Sto già lavorando ad un nuovo progetto. Si tratta di un ritratto-documentario che ruota attorno alla figura di un artista svizzero ancora in vita».

Di chi si tratta?
«Un artista che - casualmente - è originario della Val di Blenio: si tratta di un lavoro molto difficile per ora. L’artista, Flavio Paolucci, è descritto dalla critica come l’artista ticinese in emigrazione. Lui fino ad ora non è stato molto presente in Ticino, ma piuttosto oltre Gottardo , in Germania, e in Svizzera Romanda. Ha 87 anni, e si tratta di una persona molto diversa caratterialmente dagli altri artisti su cui ho realizzato un ritratto».

Questo evento è un regalo di Antonio Mariotti, membro del comitato Donetta, che mi ha aiutato nell’organizzazione

Che ritratti ha realizzato?
«Uno su Renzo Ferrari e uno su Samuele Gabai. Questi due artisti sono molto diversi da Paolucci, sia come personalità che come esperienza, dato che questi ultimi sono molto presenti sul territorio. Paolucci non tenta di spiegare le sue opere, è molto timido e poco estroverso. Peròsono contento della nuova sfida, abbiamo già dei fondi, quindi procediamo poco per volta».

Con la mostra si festeggia anche il suo compleanno e la sua carriera?
«Questo evento è un regalo di Antonio Mariotti, membro del comitato Donetta, che mi ha aiutato nell’organizzazione. Tutto è nato quando io gli ho parlato delle fotografie che scatto quando vado in giro o faccio un film. Non si tratta di scatti da fotografo, li definirei scatti per documentare il mio lavoro e il lavoro altrui».

Che luoghi rappresentano?
«Quelli che si vedranno alla mostra sono tutti scatti un po’ esotici. Afghanistan, Pakistan, India, Bali, Cina. In contrasto con le mie fotografie del paesello del Malcantone, cioè Beride. Quando Mariotti ha visto tutto questo materiale mi ha proposto di allestire una mostra».

Qual è stato il processo di selezione?
«Di rullini da sviluppare ne ho a tonnellate. Dunque ne abbiamo selezionati una parte, alcuni li abbiamo anche digitalizzati. Dopo questo passaggio abbiamo cercato gli sponsor, perché ci tenevamo che le stampe fossero fatte bene. Poi il dilemma è stato: come appendere le stampe? La casa del Donetta è rotonda. Così abbiamo deciso di stamparle su strisce e non scatto per scatto. Quasi fossero fotogrammi di un film, in sequenza».

Esiste un fil rouge che lega i suoi scatti a quelli di Donetta?
«Durante l’allestimento della mostra, Antonio Mariotti ha fatto una scoperta sorprendente. Ci sono delle fotografie di Donetta simili tematicamente alle mie. Anche lui ha fotografato la «mazza del maiale», questo perché probabilmente in Val di Blenio era una abitudine, c’è uno scatto anche del panettiere dell’epoca, e vi è anche una fotografia che riguarda il cinematografo ambulante: queste tre foto si collegano direttamente per tema ai miei tre corti, ma non voglio svelare altro».

Lei ha sempre creduto nei giovani, coinvolgendoli nei suoi lavori.
«Vero. Tutti, quando esce un film, si ricordano del regista. Ma non sanno che dietro un lavoro c’è un team di almeno 30 - 40 persone. Io attorno alla troupe ho sempre coinvolto i giovani, che magari erano anche alla prima esperienza, e poi crescevano con me perché li chiamavo ancora per un altro lavoro. Fonici, elettricisti, assistenti. Penso che questo sia l’unico modo per un giovane alle prime esperienze per sperare in futuro di rimanere nell’ambito del cinema. Oggi invece vanno di moda queste grandi co-produzioni, dove non c’è posto per il giovane che non ha un curriculum, ci si aspetta già una grande esperienza. Ma come fanno i giovani a fare esperienza se nessuno li fa iniziare?».

ATLAS, il film prodotto da Imago film

«Per fare questo film ci abbiamo messo molto tempo: dal momento in cui il regista Castelli è giunto a Imago film SA al momento dei primi festival internazionali sono passati 7 anni, un tempo lunghissimo». Il film, ispirato all’attentato dell’aprile 2011, quando una bomba esplose al Café Argana di Marrakech causando la morte di 18 persone, tra cui tre svizzeri, mira a rappresentare in modo asciutto il lutto di Allegra, la protagonista interpretata da Matilda de Angelis. Il suo linguaggio del corpo ci racconta dei sensi di colpa, la paura, il dolore, la diffidenza. Il regista, Niccolò Castelli, costruisce il film attorno alla figura centrale di Allegra: luganese appassionata di arrampicata, chiede agli amici di partire per il Marocco alla volta dei Monti dell’Atlante. Ma un crudele destino le cambia la vita.