Detto tra noi

Le 5 fasi del «fare» e della vita

Un possibile percorso di vita a tappe, tra il serio e il faceto
Dimitri Loringett
23.09.2022 06:00

Tempo fa un mio conoscente mi ha illuminato con una simpatica teoria sulle fasi della vita. Non so se sia farina del suo sacco, magari è solo una di quelle pseudo-filosofie di quelle che si trovano in Rete. Poco importa: l’ho trovata interessante e penso sia utile condividerla. Le fasi sono relative al «fare» e sono cinque: (1) imparare a fare; (2) fare; (3) far fare; (4) disfare; e (5) lasciar fare. Andiamo con ordine. La prima fase è abbastanza ovvia: è quella della nostra infanzia e gioventù, quando passiamo buona parte del tempo a imparare a fare le cose. La seconda fase è, be’, la messa in pratica di quanto si è imparato. Queste due fasi naturalmente vanno di pari passo in un processo continuo che, a pensarci bene, può durare una vita, ma per comodità restiamo in una linea temporale che ci porta alla vita adulta e quindi alla fase tre: far fare. Qui arriva un primo salto di qualità, forse non per tutti, ma per molti è la fase della maturità dove si inizia a prendere delle responsabilità e, quindi, a «far fare» le cose agli altri. Anche qui, il processo può essere più o meno lungo, oppure con vari gradi di «comando». Fin qui, tutto chiaro, spero. Ora arriva il bello: disfare. La quarta fase di questo percorso è quella più delicata e, per molti versi, la più difficile. È la fase in cui si decide di «mollare la presa», di iniziare a dedicare il proprio tempo non più solo al lavoro o all’attività imparata e svolta finora, bensì a se stessi (o a chi ci sta vicino, o ad altro). In questo senso, il disfare può significare delegare, ovvero cedere a qualcuno parte di quanto si è acquisito, o conquistato, negli anni. Il disfare è una fase a cui si può giungere, a mio parere, quando si raggiunge una certa consapevolezza di se stessi e di ciò che ci sta attorno, quando sentiamo quindi che forse la carriera, il lavoro, o in generale la vita che si sta facendo possa prendere una svolta. Con degli effetti anche utili, a guardar bene, cominciando dal fatto che delegare – tipicamente in ambito lavorativo – significa dare una possibilità a qualcun altro, magari un giovane, di fare dei passi in avanti e, a sua volta, iniziare a vedersi davanti la citata terza fase. Ma disfare può significare anche smettere. Anche del tutto, come fanno coloro che seguono la filosofia F.I.R.E. (Financial Independence, Retire Early), ovvero le persone che a un certo punto della loro vita professionale, dopo aver consolidato almeno una certa base economica, vanno «in pensione anticipata» - e non a pochi anni dall’età AVS, ma già prima dei 40 anni. Ma qui siamo nel campo di ciò che definirei il «disfare estremo», che oltretutto devia un po’ (tanto) dal concetto che sto cercando di spiegare. Infine, arriva la fase cinque che suggella il percorso: il «lasciar fare», la fase in cui ci si stacca completamente (o quasi) dall’attività precedente. È importante però non «saltare» le varie fasi e percorrerle tutte fino in fondo, una dopo l’altra. Altrimenti il rischio è di non godersi il gran finale. Ad esempio, se nella fase quattro non si è capaci di coltivare nuovi interessi si rischia di «disfare» tutto quanto si è «fatto» e ricominciare tutto da capo; come gli umarèll annoiati davanti ai cantieri…