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C’è salvezza per un’umanità accecata?

Blindness, pellicola tratta dall’omonimo romanzo di José Saramago, riflette sulla fragilità dell’organizzazione sociale
Scena tratta dal film Blindness - Cecità (2008) - Nella foto gli attori Julianne Moore e Mark Ruffalo
Gaia Caruso
Gaia Caruso
28.03.2022 13:00

«Occhio e cervello: vedere, guardare e immaginare» è stato il tema della Settimana del Cervello 2022, che tra il 14 e il 23 marzo ha offerto una serie di incontri pubblici e un seminario scientifico per sensibilizzare la popolazione. All’interno di questo ciclo di eventi, mercoledì 23 marzo è stato proiettato il film Blindness - Cecità (2008) di Fernando Meirelles, tratto dall’omonimo romanzo di José Saramago pubblicato nel 1995.In una città non specificata, un uomo in auto è fermo mentre il semaforo è verde. L’uomo è appena diventato cieco, senza nessun apparente motivo. Da caso isolato, questa misteriosa cecità si sparge in città al pari di una malattia, contagiando, tra gli altri, un oftalmologo, un ladro di auto, una donna affetta da congiuntivite e un bambino strabico. Internati in un ex-ospedale insieme alla moglie del medico, che, pur non essendo cieca, si è finta tale per stare accanto al marito, a queste persone presto se ne aggiungeranno molte altre. L’epidemia, infatti, non accenna a fermarsi, e senza una cura o una soluzione per arginare il contagio, presto il controllo della situazione sfugge di mano, sia dentro la struttura sia fuori.Per raccontare il «mal bianco», il film propone uno scenario quasi asettico, con una fotografia molto desaturata, proprio per avvicinarsi a quel biancore lattiginoso che affligge coloro che sono stati colpiti dalla cecità. Spesso lo schermo si fa pura luce, disorientando lo spettatore, invitandolo a immedesimarsi nella situazione ed empatizzare con i personaggi. Un microcosmo di uomini, donne, bambini e anziani senza nome, distinguibili solo dalla loro professione, che si trovano all’improvviso rinchiusi in una struttura ai margini della società. Quello a cui assistiamo sembra quasi un esperimento di psicologia sociale. E ci chiediamo: «quanto ci metteranno le norme sociali che regolano la nostra vita a cadere?». Perché se è il bianco a caratterizzare il misterioso morbo, l’oscurità è ciò che si prefigge come destino collettivo per l’umanità tutta. Quello a cui assistiamo è infatti un’escalation di degrado e violenza, perché in una situazione in cui in teoria si dovrebbe essere solidali gli uni con gli altri, non mancano gli approfittatori che cercano di instaurare dinamiche di potere a cui non è facile ribellarsi quando c’è in gioco la sopravvivenza. Al di fuori dell’istituto, la situazione è speculare. In uno scenario apocalittico, le persone sono lasciate a morire per strada, e ci si azzuffa per la minima quantità di cibo. È il caos, ma ovviamente, essendo tutti ciechi, nessuno ci bada. Unica testimone, la moglie del medico, che utilizza il proprio vantaggio per porsi come guida a un possibile ritorno alla civiltà.Da una parte quindi la storia ci parla di quanto sia fragile la nostra struttura sociale, e di quanto basti poco per farla crollare. Dall’altra pone una riflessione sulla vista. In quanto primo organo utilizzato per crearci un’idea di quello che ci circonda, come ci comportiamo quando ne siamo privati? Come ci relazioniamo con gli altri? Dobbiamo contare sull’aiuto delle altre persone per orientarci nei luoghi fisici, ma anche conoscere e imparare a fidarci delle persone semplicemente dal suono della loro voce. Se da una parte vengono anche a cadere pregiudizi e discriminazioni, perché occorre collaborare per compensare le abituali certezze, dall’altra non vedere l’altro significa anche non preoccuparci di quello che facciamo all’altro, e questo porta a comportamenti disumani. Cecità è quindi un invito a guardarci dentro, perché basta poco per rinunciare a sé stessi a favore di un’identità collettiva plasmata dalla situazione sociale. E coltivare uno sguardo personale è l’unico modo per non perdere la nostra umanità.

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