«Se tutto è organizzato, dove sta l’avventura che è l’essenza del viaggio?»
Quando si pronuncia il suo nome ai ticinesi vengono in mente due cose. L’italiano monotono (cantilenante) e la voglia di partire. Werner Kropik, nato a Vienna nel 1942, è un volto noto. Da più di vent’anni i suoi documentari dedicati ai viaggi accompagnano le serate dei telespettatori di Teleticino. Kropik è un viaggiatore all’antica. Uno che parte con il sacco in spalla in cerca di nuove avventure da documentare. Sostenitore instancabile del turismo lento, ha raggiunto in bici Hong Kong ed ha visitato più di venti volte l’India. «Ma si possono compiere viaggi straordinari anche in Ticino» ci dice.
Lei che ha
girato mezzo mondo ci dica: perché si viaggia? Cosa ci spinge a preparare la
valigia e a partire?
«Per vivere emozioni. Credo che questa sia la
motivazione principale. Noi viaggiamo perché desideriamo sottrarci dal tran tran quotidiano.
Vogliamo fuggire dalla routine di tutti i giorni. Per cercare nuove emozioni
ognuno fa a modo suo. C’è chi punta sullo shopping, chi sposa uno sport e c’è chi si carica il sacco in spalla verso
nuovi orizzonti. Come me».
La sensazione
più forte provata nei viaggi?
«Quella di svegliarsi in un posto senza sapere dove mi sarei
addormentato alla sera. Viaggiare senza aver nulla di programmato mi fa sentire
bene. In questo modo accumulo nuove esperienze. Cerco di comprendere il nuovo
che si presenta davanti ai miei occhi. Io non ho mai idee preconcette su un
posto. Voglio capire con la mia testa. Meglio
non partire se non si si è disposti a capire».
Che
differenza c’è tra un turista e un viaggiatore?
«Ogni turista si crede un viaggiatore e si arrabbia
quando vede altri turisti in giro. Ma credo che ognuno abbia l’ approccio che
rispecchia il suo essere. A far la differenza secondo me sono le aspettative.
Il viaggiatore non ne ha, il turista invece sì».
Avere
aspettative è un fattore negativo secondo lei?
«Penso di si. Avere aspettative è una grande fregatura. Quando il colore del mare non è turchese come quello
della brochure dell’agenzia viaggi sei subito deluso. Per me viaggiare significa proprio il
contrario di tutto ciò. Vuol dire buttarsi in un itinerario sconosciuto, pronto
ad accettare tutto quello che il destino manderà sulla mia strada».


Oggi però la
generazione 2.0 sceglie di visitare
paesi in funzione delle foto che appaiono su Instagram…
«Sbagliano. Innanzitutto pensare di ripetere l’attimo
immortalato dall’autore della foto è una pia illusione. Vivere l’emozione di
un altro è impossibile. Certo gli strumenti tecnologici a disposizione delle
nuove generazioni sono potenti. Google Earth ti fa scoprire il mondo dal divano di
casa, e anche il ristorantino del terzo mondo ha il suo sito internet che
mostra piatti e paesaggi tipici. Tuttavia viaggiare significa uscire dalla comfort
zone. Bisogna annusare il mondo, come io dico sempre».
Non è facile
uscire dalla confort zone, non crede?
«Per conoscere un paese occorre saper rinunciare alla propria
sicurezza e a tutto ciò a cui siamo abituati. A cominciare dalla pulizia di
casa tua. Ci si deve dire: "Sto per affrontare qualcosa a cui non sono
abituato, qualcosa di inaspettato che potrebbe mettermi alla prova, come il
freddo o la fame"».
Non tutti
possono vantare questo coraggio..
«Questo è il prezzo da pagare se si vuole vivere
esperienze che sul momento spaventano ma che poi arricchiscono i ricordi. Non so quante volte nei miei trekking ho
patito la fame, il freddo e la fatica. Ma ne è sempre valsa la pena. Questo modo di viaggiare, di camminare settimane
attraverso valli sperdute e a me sconosciute mi ha permesso di scoprire realtà
inimmaginabili. Villaggi e monasteri senza l’elettricità e l’acqua corrente. Ho
visto il Medioevo nel terzo millennio».
Quando
viaggia cosa la colpisce di più: le persone, le cose o la natura?
«Soprattutto le persone. Più capisci un popolo o una
cultura, più capisci chi siamo noi, con le nostre paure, la nostra
aggressività, i nostri desideri. Ogni popolo ha il suo modo di affrontare le cose del mondo».


Che senso ha
tornare più di venti volte in India?
«È la stessa domanda che mi posero alla frontiera
indiana. "Perché viene così spesso
nel nostro Paese?", mi chiese una volta un doganiere indiano vedendo tutti i
visti sul mio passaporto. Dopo cinque viaggi credevo sapere tutto, ma mi
sbagliavo. L’India offre tantissime emozioni con pochi soldi. O la detesti o la
ami, ma nessuno ritorna indifferente da questo variegato Paese».
L’invasione
russa dell’Ucraina è solo l’ultimo di un lungo elenco di conflitti.
Dall’Afghanistan, alla Libia, al Myanmar, alla Palestina, alla Nigeria, sono
molte le popolazioni del mondo per cui il conflitto è la tragica normalità. Non
crede che le guerre recenti stiano rendendo il mondo più piccolo?
«È una mezza verità, perché le cose cambiano sempre.
Ricordo che in passato avevo il desiderio di visitare la Cambogia, ma i khmer
rossi me lo impedivano. Ora posso andarci senza problemi. Prendiamo un altro
esempio: lo Yemen. Ora è dilaniato dalle bombe, però sono riuscito a visitarlo
diverse volte. Tutto cambia, appunto. E poi tante volte non si devono
affrontare lunghi viaggi per fare nuove esperienze».
In che senso?
«Per esempio si può partire alla scoperta dei luoghi in
cui vivi. In questi anni ho percorso tutti i sentieri del Ticino. Cinquemila
chilometri di grandi emozioni. L’ho attraversato in lungo e in largo. Ogni valle laterale mi offriva una sorpresa.
Proprio come quando mi trovavo in Tibet. Il segreto è muoversi a piedi».
Come vede le
nuove generazioni di viaggiatori?
«Di recente ho fatto un viaggio in Indonesia insieme a
due conoscenti. A differenza mia, loro avevano il telefonino nel sacco. Li
osservavo mentre prenotavano alberghi dalla cima di una montagna e voli dai
sagrati dei monasteri. Una gran comodità, d’accordo. Però non cambio idea: se
tutto è prenotabile e prevedibile, se tutto è organizzato nei dettagli, dove
sta l’avventura che è l’essenza del
viaggio?».
Se tornasse
indietro rifarebbe ogni cosa, come ad esempio andare in bici da Lugano ad Hong
Kong?
«Certo, senza ombra di dubbio. Quei mesi trascorsi in
sella alla mia bici sono stati intensi, unici. Anzi: mi hanno permesso di
sentirmi vivo. Una gran bella sensazione. Sarebbe triste morire senza avere la
sensazione di aver vissuto davvero, non
crede?».