Segreti cinesi
Il menu è ormai quello classico, sdoganato quasi dappertutto. Spaghetti di soia e ravioli cinesi accanto a sushi giapponese. Perché oggi i clienti vogliono tutte le prelibatezze orientali nello stesso piatto. Anche se appartengono a culture differenti. «La signora X non c’è, è irreperibile, è all’estero», taglia corto il cameriere, riferendosi all’ex direttrice di questo ristorante asiatico di Lugano finita sotto inchiesta per non aver sdoganato o sdoganato solo in parte 25 chili e mezzo di carne destinata ai clienti. I fatti, come ha risportato il Corriere del Ticino giovedì, risalgono al 6 febbraio 2021, al 19 maggio e al 29 maggio di quest’anno.
L’auto su cui sta viaggiando la donna viene intercettata tre volte dalle guardie nei dintorni dei valichi di San Pietro e Pizzamiglio. Due volte su tre viene trovata carne non dichiarata. Per gli inquirenti sono importazioni avvenute sulla base di un sistema collaudato. La donna si difende sostenendo di essere all’oscuro delle leggi e di aver affidato il trasporto e quindi le relative pratiche di sdoganamento ad autisti di China Town a Milano. La dogana non è però convinta e di recente ha ricevuto via libera dalla Corte dei reclami penali del Tribunale federale per accedere ai contenuti del telefono cellulare della donna e ai suoi messaggi Whatsapp.
Una cucina che tira
Il cameriere è ancora nervoso, quando dice «i giornali hanno ingigantito tutto», ma poi si calma un po’, dopo aver specificato: «Ora il ristorante è in mano ad altri». Di sicuro, i ravioli sono buonissimi e i clienti non mancano. Perché la cucina asiatica tira sempre più. Anche a Lugano dove ultimamente sembrano essere spuntati come funghi nuovi ristoranti. Quasi una decina, se si contano anche i take away.


«Condanniamo chi sgarra»
«La gastronomia è da sempre sinonimo di flessibilità e scoperta - dice Massimo Suter, presidente di GastroTicino - quindi anche la cucina esotica arricchisce l’offerta e di conseguenza Lugano come destinazione turisto-gastronomica». Più cucine, più ricchezza, quindi. A patto di rispettare le regole. «A fare il furbo è solo una piccola parte di ristoratori che condanniamo e stigmatizziamo perché occorre lavorare sempre secondo la legge anche se le difficoltà non mancano». Suter si spiega meglio. «La differenza di prezzo della carne ma anche di altri prodotti tra la Svizzera e l’Italia è davanti agli occhi di tutti così come la situazione certamente non facile a livello economico».
La strada insomma è irta di ostacoli. «E le occasioni fanno l’uomo ladro», ammette il presidente di GastroTicino che insiste ancora una volta sulla necessità di trovare al più presto soluzioni a livello politico. Perché questa volta a sgarrare è stato un ristorante asiatico «ma ci sono stati anche ristoratori europei e ticinesi che hanno fatto di peggio. Per cui non puntiamo il dito. Condanniamo certo, ma cerchiamo anche soluzioni», ripete.
Una comunità piccola e silenziosa
Il cameriere è ancora in imbarazzo. Perché la luce dei riflettori su questo ristorante è ancora accesa. Aggiunge solo che l’ex direttrice non parlava italiano e a stento qualche parola di inglese. Non così invece la piccola comunità cinese presente in Ticino che in molti casi si è integrata. La stragrande maggioranza è composta da donne che hanno sposato ticinesi o residenti. Tutti gli altri sono studenti dell’Università della Svizzera italiana (USI) e coppie di connazionali che spesso hanno aperto ristoranti asiatici.
Non una comunità folta come specifica anche l’Ufficio federale di statistica secondo cui i cinesi residenti in Svizzera nel 2021 (taiwanesi compresi)erano 20.600, di cui in Ticino poco più di 200. Come è facile immaginare è Zurigo la principale destinazione con oltre 5mila cinesi. Seguono Vaud, 3.100 e più staccati Ginevra e Berna con 1.500 residenti.
Raddoppiati in dieci anni
Niente a che vedere con i numeri ad esempio della Lombardia, dove secondo l’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, nel 2018 nella regione si erano registrati quasi 80mila cinesi. Niente a che vedere anche se un dato in Svizzera salta comunque all’occhio. Anzi due. Il primo è che in dieci anni, dal 2009 al 2019, il numero di persone con la nazionalità cinese è raddoppiato. Il secondo che l’80% di chi è arrivato nel 1998 ha lasciato la Svizzera nei 15 anni successivi al suo arrivo. Solo giapponesi e statunitensi nello stesso periodo sono arrivati e se ne sono andati più velocemente.