Le proteste

«Vi racconto il mio Iran»

La parola a Shayda Askari, nata in Iran nel 1981 e cresciuta nel Malcantone: «Non è una rivolta delle donne, oggi l'intero popolo vuole cambiare questo regime»
Andrea Stern
Andrea Stern
30.10.2022 14:06

Si sbaglia chi crede che in Iran sia in corso una protesta contro il velo. «Questa non è una rivoluzione femminile - spiega Shayda Askari -, è la ribellione di un intero popolo che è veramente stufo di vivere sotto un regime di crescenti limitazioni e repressione.  In piazza si vedono donne e uomini, giovani e anziani. La gente si è resa conto che non c’è più margine di manovra all’interno di questo regime. Ci vuole un cambiamento».

Nata in Iran nel 1981, cresciuta in Malcantone, psicologa, già vicesindaca di Astano, Shayda Askari segue con grande partecipazione le proteste scoppiate ormai oltre sei settimane fa con la morte della 22enne Mahsa Amini.

Bloccati WhatsApp e simili

«Purtroppo è diventato più difficile parlare con i parenti in Iran - spiega Askari -, poiché dall’inizio delle proteste sono stati bloccati WhatsApp e gli altri principali canali di comunicazione con l’esterno. Ma qualche mezzo si trova sempre. E poi comunque grazie a internet e alla tv satellitare abbiamo accesso a informazioni molto più complete rispetto alle precedenti ondate di proteste».

Ondate che di regola si esaurivano in pochi giorni sotto la feroce repressione del regime. Stavolta invece gli iraniani manifestano ininterrottamente da 44 giorni senza dare segnali di voler desistere.

«In passato venivano uccise migliaia di persone in pochi giorni - ricorda Askari -, stavolta il bilancio ufficiale è di poco più di duecento vittime, ma in oltre sei settimane. Sebbene nessuno sappia con precisione quante siano le vittime, questo dato è significativo. Vuol dire che in passato c’erano ancora parecchie persone che difendevano gli ayatollah, mentre oggi il popolo è più unito. Negli ultimi giorni ho sentito che ora i militi che affrontano i civili non sono nemmeno più iraniani, bensì arabi. Se già dopo appena due mesi il regime deve rivolgersi all’esterno, vuol dire che sta esaurendo le riserve».

«Non c’è più fiducia nei politici»

Oggi più che mai gli iraniani credono nel rovesciamento del regime instaurato nel 1979 con la rivoluzione islamica. Un regime, va detto, che è stato più volte confermato alle urne.

«I politici hanno fatto tante promesse alla gente - spiega Askari -. Molti cittadini delle classi popolari li hanno votati nella speranza di migliorare la propria condizione economica. Ma le promesse sono state disattese. Ora il regime tenta la solita strategia di rovesciare la colpa sulle potenze straniere, sugli USA in particolare, ma la gente non ci crede più. Ha perso la fiducia nei politici. E poi c’è l’aspetto del carovita, con i prezzi che sono schizzati alle stelle. Oggi molte persone non riescono ad acquistare i beni di prima necessità».

Per questi motivi  Askari ritiene che sia giunto il momento del cambiamento. Sperando che sia per il meglio, perché non ci vuole nulla a far sprofondare un paese nel caos. «Mi auguro che non succeda - dice Askari -. Certo, per rovesciare un regime ci vogliono dei leader che siano disposti a prendere in mano la situazione. Io sono convinta che questi leader ci siano. Immagino che per ora preferiscano non uscire allo scoperto, per evitare un sabotaggio. Ma al momento giusto emergeranno. Altrimenti le proteste non andrebbero avanti, se non ci fossero sufficienti garanzie di un riequilibrio».

Quale riequilibrio? «Non torneremo ai tempi dello scià - afferma Askari -, ma io credo che si possa trovare una via di mezzo tra la democrazia di un tempo e il totalitarismo di oggi».

«Proteggere non significa nascondere»

Una via di mezzo pur sempre islamica ma più liberale. «Da nessuna parte nel Corano sta scritto che la donna debba essere sottomessa - spiega Askari -. L’unica cosa che si dice è che la donna è una parte talmente pura che deve essere protetta. Ma proteggere non significa nascondere sotto un velo. Questa è una interpretazione che si sono creati questi capi di Stato. Proteggere una donna significa darle delle garanzie di poter avere delle posizioni qualificate, delle mansioni sociali, di potersi dedicare alla famiglia ma non solo a quella».

Askari sarebbe felice di tornare in un Iran del genere. Un Iran da cui i suoi genitori fuggirono quando lei aveva appena due anni. «Mio padre è tornato in Iran solo quando ha ottenuto il passaporto svizzero - racconta -. Prima si sentiva in pericolo, come oppositore sarebbe stato arrestato già all’aeroporto».

In seguito anche Shayda Askari è tornata più volte nel paese delle proprie radici. «Ci sono stata l’ultima volta nel 2019, insieme a un gruppo di amici ticinesi che volevano scoprire quella terra - racconta -. Sono rimasti tutti entusiasti dell’accoglienza della gente del posto. In tanti mi chiedono di tornare. Io prego ogni giorno che finalmente succeda qualcosa e che in Iran si possa tornare a vivere pienamente. Le iraniane e gli iraniani se lo meritano».

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