L'editoriale

Zurigo-Milano, saltando il Ticino

La politica, nel 2023, è chiamata a delineare un’idea complessiva di futuro per il nostro cantone
Mauro Spignesi
18.12.2022 07:00

Si chiude un anno che ha avuto una coda difficile, con l’uragano di bombe sganciate sull’Ucraina, l’incertezza dei mercati, la ricomparsa, prepotente, dell’inflazione (da noi al 3%) che ha spinto la Banca nazionale a ritoccare i tassi verso l’alto, l’aumento dei premi di cassa malati e quello dell’energia. Si chiude un anno che saluta un intermezzo - tra la fine della pandemia e l’inizio della guerra di Putin - dove sembrava che l’economia finalmente avesse ripreso a respirare.

Invece ci attende un 2023 sicuramente difficile. Una famiglia su quattro - è emerso da un rilevamento di Comparis - ha paura di non riuscire a pagare la rata dell’ipoteca, cresciuta in maniera importante per effetto della risalita dei tassi d’interesse. E questo perché non tutti sono riusciti a risparmiare durante il periodo del lockdown, perché non hanno lavorato. Difficoltà che, al di là di numeri e statistiche, hanno avuto riflessi in molte economie domestiche, oggi con bilanci in affanno. Tanto che sono aumentati del 40 coloro che si presentano dei negozi della Caritas, dove trovano cibo a prezzi vantaggiosi.

Dentro questa cornice dopo Capodanno comincerà una campagna elettorale verso le elezioni cantonali già accesa dai contrasti in Gran Consiglio sul preventivo, sull’imposta di circolazione e gli sgravi per i premi di cassa malati. Se la legislatura che si chiude ha dovuto fare i conti, conti drammatici e che dunque valgono come attenuante, con la pandemia, uno dei periodi in assoluto più difficili che la politica è stata chiamata ad affrontare, la nuova legislatura dovrà affrontare una serie di problemi che restano ancora aperti. A iniziare dal delineare un’idea complessiva di futuro del Ticino. Cioè di un cantone che negli ultimi anni, nonostante gli sforzi delle aziende e i sacrifici dei lavoratori che hanno tenuto duro, ha perso competitività, attrattività e posizioni. Dove il prodotto interno lordo è in calo, i salari sono rimasti fermi per anni, dove si perdono lavoratori residenti (quasi 2000 negli ultimi dieci anni) e dove oltre mille residenti sono andati a vivere in Italia, dove la vita costa meno, e sono diventati anche loro frontalieri per tirare avanti.

L’idea di un Ticino che si scrolli di dosso il fatalismo e la rassegnazione e tenga conto anche di questi fenomeni, riesca con iniziative concrete a invertire la rotta, è quello che molti chiedono ai partiti. Anche perché è possibile fare di più, cercando di capire come fanno gli altri. Ad esempio, mentre noi perdiamo abitanti e la popolazione invecchia, Zurigo quest’anno - secondo un servizio della NZZ am Sonntag - segnerà un record di nuovi stranieri residenti, 30 mila (l’ultimo picco era stato nel 2017 con 28.500); di questi tre quarti hanno meno di quarant’anni e una laurea o comunque una formazione professionale superiore. Ma c’è anche un altro aspetto interessante: tra di loro molti sono italiani (nei primi tre trimestri del 2022 erano 2.233). Questo ci dice innanzitutto che la barriera della lingua, l’italiano, oggi ormai non esiste più.

Chi ha studiato, un po’ come succede negli spogliatoi dell’hockey, parla inglese come accade a Zurigo o a Zugo ormai in molti settori professionali. Sarebbe interessante capire se questi professionisti e i giovani che arrivano a Zurigo sono attratti da università e politecnici o vanno ad occupare anche altri posti, ad esempio nella sanità.

Quello che è certo che è che ormai i flussi si dirigono altrove e l’attrattività di un tempo sta svanendo. Il rischio è che AlpTransit si trasformi in un ponte, in una corsa diretta tra Zurigo e Milano, senza prevedere più una fermata intermedia in Ticino. Per questo serve un colpo di reni della politica.