L'intervista

Angela Lyn, la sintesi tra Oriente e Occidente

Artista poliedrica, ha vissuto tra l'Inghilterra e gli Stati Uniti ma solo a Lugano e nell'amato paesaggio del Ticino ha trovato la sua vera casa da quasi trent'anni
Stefania Briccola
08.10.2022 20:01

L’arte di Angela Lyn è la sintesi dell’incontro tra Oriente e Occidente e trascende ogni aspetto nostalgico per giungere al cuore di una sapienza antica con un linguaggio universale. La sua mostra On the edge of time nella cornice di villa Arconati a Bollate, Milano, invita lo spettatore a compiere un viaggio affascinante in venticinque stanze allestite con opere in gran parte realizzate per l’occasione. L’artista si interroga su cosa riesce a unire gli esseri umani nel corso del tempo e durante il lungo periodo di preparazione della personale, organizzata dalla fondazione Augusto Rancilio e curata da Li Zhenhua, nella sua mente sono affiorate le vite di quanti hanno abitato gli spazi della sontuosa dimora barocca. Qui ci furono mecenati visionari, come Galeazzo Arconati che nella sua collezione vantava persino il Codice Atlantico, pittori, architetti, giardinieri, uomini e donne che affrontavano l’esistenza tra successi e fallimenti. Ognuno di loro era alle prese con i problemi del proprio tempo come oggi capita a noi con la pandemia, l’emergenza climatica, la crisi energetica. Così le installazioni site-specific uniscono la vita dell’artista e la storia della villa, passato e presente, e danno nuova linfa a queste stanze ponendoci questioni esistenziali che riguardano il futuro. Nella piccola Versailles alle porte di Milano, oggi sede della fondazione Augusto Rancilio, sfilano dipinti, sculture, disegni, testi poetici e video che ben rappresentano la ricerca poliedrica di Angela Lyn. Questa cittadina del mondo, nata a Windsor nel 1955, da padre cinese e da madre inglese, ha vissuto fra l’Inghilterra e gli Stati Uniti ed è andata in cerca delle sue radici a Taiwan, ma solo a Lugano e nell’amato paesaggio del Ticino ha trovato la sua vera casa da quasi trent’anni. La mostra ricorda una sorta di personale Recherche in cui il senso del tempo e della memoria è qualcosa di vivo che traspare dalle opere in dialogo con gli spazi che le accolgono.

Angela Lyn, può raccontare come è nata la grande esposizione monografica ospitata a Villa Arconati?
«Quando Cesare Rancilio, presidente della fondazione intitolata alla memoria di suo fratello Augusto Rancilio, ha visto i miei dipinti dedicati ai cedri al Museo della Svizzera italiana a Lugano si è appassionato al mio lavoro e mi ha chiesto se volevo fare una mostra a villa Arconati. Lo spazio espositivo di sei stanze al piano terra mi piaceva, ma preferivo fare qualcosa di più ampio. Quando ho visitato la villa sono rimasta ipnotizzata e ho proposto alla fondazione un progetto articolato in diverse stanze della dimora barocca che è stato un po’ una follia. Ho pensato di riflettere sul senso del tempo, di grande importanza nella mia pittura, e della presenza umana e in questa villa secolare ho potuto trovare il tema che ci collega non solo ai nostri giorni, ma anche con il passato e il futuro. è stato fantastico avere questa opportunità e libertà».

Come ha declinato il tema ricorrente della mostra in ben venticinque stanze?
«Sono partita dall’idea di dare un nome a tutte le stanze. La prima Go to the river richiama il soggetto del fiume perché include le storie delle persone che nei secoli hanno vissuto in questo spazio, compresa la mia che è solo una goccia in questo corso d’acqua. è come se vivessi qui e vorrei portare l’ospite in una dimensione che non è solo storica, ma di un luogo in cui si avverte la presenza umana di chi ha preso dimora qui adesso».

Come ha sviluppato la sua riflessione?  
«Ragionando su cosa ci lega in ogni tempo ho pensato alla lotta per la sopravvivenza che fa parte della vita umana. Per esempio uno dei temi centrali della mostra è quello dell’incertezza del futuro a livello climatico. La mia non è una denuncia politica, ma  un’espressione soggettiva. Mi interessano i temi che toccano tutti ed è molto importante prendere in considerazione questo senso di incertezza che si respira a livello mondiale. Essendo un’artista globale, con un vasto retroterra e vedute ampie, ho attinto dalla riserva delle mie due culture, occidentale e orientale, per rispondere a questo interrogativo con le opere realizzate nelle stanze che sono piuttosto installazioni site-specific. Discutere di queste cose a livello soggettive è difficile, ma anche necessario. è una questione delicata perché quando entri nell’anima di un’altra persona sei sempre un ospite».

In questa mostra ho potuto esprimere la complessità della mia arte e coinvolgere tutti i linguaggi espressivi di cui mi avvalgo che spaziano dalla pittura alla scultura fino alla scrittura e il video

Quali sono le stanze più rappresentative del suo lavoro?
«In questa mostra ho potuto esprimere la complessità della mia arte e coinvolgere tutti i linguaggi espressivi di cui mi avvalgo che spaziano dalla pittura alla scultura fino alla scrittura e il video. Il settanta per cento delle opere sono state concepite ex novo, mentre la restante parte è stata scelta dalla mia produzione precedente nel contesto delle stanze. è difficile dire che una sala è più rappresentativa di altre. Se dovessi scegliere però dico che la sala verde è una di quelle in cui potrei vivere. Le piante raffigurate sono quelle presenti nello straordinario giardino della villa. Le ho osservate per tre anni per vedere come cambiano durante le stagioni. In questa sala c’è molta attenzione agli spazi ed è molto orientale. I vuoti invitano a riflettere chi sta davanti al quadro».

Nella sala con gli affreschi del mito di Fetonte dei fratelli Galliari c’è una portantina cinese simile a quella in cui suo padre veniva portato a scuola. Come si intreccia la storia di Villa Arconati con quella della famiglia Lin?  
«La mia famiglia proviene dal sud della Cina, ma ha avuto anche proprietà a Taiwan e le dobbiamo uno degli esempi più completi di giardino tradizionale cinese. Mio nonno paterno possedeva un borgo agricolo feudale dove coltivava il riso ed è molto interessante sapere che la storia della villa Arconati in parte abbia dei legami con la mia dall’altra parte del mondo».

Con quali artisti ha dialogato nella mostra? 
«La mostra è un luogo di incontro e non uno spazio finito in cui si mettono delle opere da vedere. Il 18 settembre ho fatto una performance insieme al musicista e compositore londinese Jesse Bannister con un reading delle poesie che ho scritto. Nell’ala femminile della villa, priva di affreschi, in cui le donne della casa stavano con i loro figli, ho esposto i miei disegni e quelli di mia figlia Su Ling Gyr».   

Come è stato concepito il libro dedicato alla sua personale?
«La mostra On the edge of time è accompagnata da un volume di quattrocento pagine, con fotografie di Andrea Rossetti, edito da Vexer su progetto di Jonas Niedermann. Il libro riporta alcuni miei testi biografici e poetici e contributi di vari autori che rispondono alle domande che ho posto anche a me stessa. Tra loro ci sono il paesaggista Michel Desvigne, la psichiatra Christina Bornivelli e l’architetto Marco Serra. Poi ci sono il saggio critico del curatore Li Zhenhua e la conversazione con Michael Schindhelm, il regista che ha firmato il docu-film della mostra mettendo in luce l’importante legame tra arte e vita nel mio percorso».

C’è un’opera rappresentativa del suo itinerario?
«Ho realizzato una scultura di rete di metallo dedicata a Eva ventisei anni fa. L’ho messa nel mio giardino vicino a un glicine che è cresciuto dentro la figura ed è diventato un segno del tempo. Ho scritto un testo ricamato: “Eva non vuole mangiare la mela, vuole essere l’albero”. Ho fatto anche una performance che suona così: “Tutti dicono che voglio mangiare la mela ma hanno sbagliato, voglio essere l’albero e sai perché? Perché se siamo staccati dalla natura le cose vanno male…”».

Che senso ha dipingere oggi?
«Un quadro deve essere capace di risuonare e di cogliere anche il proprio tempo. Nell’era di Instagram in cui un’immagine non dura neanche 24 ore è importante costruire una relazione duratura con quello che si vede. Questo mi interessa e non voglio che tutto svanisca in un momento. L’arte ha radici nella profondità dell’esistenza».