May the 4th be with you: «Star Wars è un mito moderno, per questo non muore mai»
Oggi è il 4 maggio. Per qualcuno è solo domenica, l'ultima del lungo ponte. Per milioni di altri – noi, voi, la tribù nerd e sentimentale di almeno tre generazioni – è Star Wars Day. May the 4th be with you. E quest’anno, la Forza si ferma a Lugano: alla Marco Lucchetti Art Gallery, in via Cattedrale 3, si inaugura infatti una mostra-evento che porta sul Lago le tavole e i mondi disegnati da Davide Fabbri, uno dei pochissimi italiani ad aver firmato ufficialmente capitoli dell’universo creato da George Lucas.

Dalle 10 alle 18 Fabbri sarà presente in galleria per incontrare il pubblico, firmare dediche, raccontare aneddoti da dietro le quinte. Esposte oltre venti tavole originali mai mostrate prima, illustrazioni realizzate per l’occasione, una rarissima stampa del Millennium Falcon tratta dal suo primo lavoro per la saga (Tales #17, 2003), e sei affiche cinematografiche vintage che sembrano uscite da una galassia lontana quanto basta per farci battere il cuore.
E sì, è uno di noi. Solo che disegna molto meglio.
Davide, oggi è il 4 maggio. Per i fan è festa. Per te?
È ancora festa. Ho lavorato per oltre 13 anni a Star Wars, praticamente fisso. Poi, quando Disney ha comprato tutto e i fumetti sono passati a Marvel, ho smesso. Ma il legame resta. Ho visto Una nuova speranza al cinema nel 1977. Avevo tredici anni. Da lì in poi, astronavi ovunque. Le disegnavo anche sui margini dei quaderni.
Cosa ti aveva colpito, da ragazzino?
Tutto. Ma soprattutto l’ambientazione: era un universo mai visto. Strano, sporco, affascinante. I mondi alieni, i costumi, l’idea che ogni cosa avesse una storia. Non era la solita fantascienza lucida: sembrava vissuta. Quella sensazione di essere dentro qualcosa di grande è ciò che ha segnato me e tanti altri. È diventato un immaginario condiviso.
Quando hai iniziato a disegnare davvero Star Wars?
Nel 1999, con la Dark Horse. Ero già fan, ovviamente. Ma per lavorarci dovevi essere quasi un archeologo: all’epoca niente reference online. Per riprodurre un X-Wing o il ponte di una nave imperiale servivano libri rari, manuali tecnici, foto rubate ai Comic-Con. Oggi cerchi su Google. Allora tornavi da San Diego con la valigia piena e il portafoglio vuoto.
Ma oltre al dettaglio tecnico, c’è anche qualcosa di più, no?
Assolutamente. Disegnare Star Wars non è solo mettere in scena navicelle e Jedi. È ricreare un’atmosfera. Trasmettere l’odore del metallo, il silenzio dello spazio, la solennità di una battaglia senza fare rumore.
La responsabilità più grande?
Dare vita a quella magia su carta. Quando funziona, lo senti subito: è come se si accendesse una spada laser nella testa del lettore.

Un disegnatore con uno spirito creativo come il tuo non corre però il rischio di essere limitato nel riprodurre le immagini di una saga così iconica? Il reato di lesa maestà è dietro l'angolo...
C’erano due livelli di controllo: l’editor della Dark Horse e LucasBooks. Ma ti dico la verità: sono sempre stati molto laici. Se entri in quell’universo, è perché sai come funziona. Non serve dirti cosa puoi o non puoi fare, lo sai già. Il rispetto è parte del mestiere.
Cosa rende Star Wars ancora oggi così forte e attuale?
La profondità. Non è solo intrattenimento. Ogni cosa ha un peso: i costumi, le astronavi, i nomi, le storie. E poi i personaggi: sembrano archetipi, ma sono pieni di ambiguità. Vader è un cattivo tragico. Luke è un eroe che sbaglia. Leia è una principessa che comanda. Star Wars è un mito moderno, travestito da space opera. E il mito, se è buono, non muore mai.
Cosa speri arrivi al pubblico di Lugano?
Spero che sentano la passione. Ho selezionato lavori che rappresentano il mio tentativo di raccontare la saga con rispetto e intensità. Anche se oggi l’intelligenza artificiale può replicare uno stile, certe mani, certi silenzi, restano umani. Disegnare Star Wars è un atto d’amore, non un esercizio di stile.
Domanda alla Belve: che personaggio ti senti?
Vorrei dire Han Solo, ovviamente. Ma temo di essere più Chewbacca. Grande, buono, fedele. E, all’occorrenza, capace di strappare un braccio. Senza parlare mai. Ma con molto da dire.
