Il personaggio

Sophie Taeuber-Arp e la consacrazione nel Pantheon dell'astrattismo

Riviviamo la mostra al Moma di New York dedicata alla poliedrica artista svizzera, la prima donna celebrata sulle banconote elvetiche
Sophie Taeuber-Arp. Circle Picture. 1933. Oil on canvas. 29 1/4 × 47 3/16″ (74.3 × 119.8 cm). Kunstmuseum Bern. Gift of Marguerite Arp-Hagenbach © Kunstmuseum Bern
Stefania Briccola
15.03.2022 19:10

Si intitolava Astrazione vivente la grande retrospettiva che il Moma di New York ha dedicato a Sophie Taeuber-Arp, una protagonista delle avanguardie della prima metà del Novecento. La mostra è giunta nella Grande Mela dopo aver fatto tappa al Kunstmuseum di Basilea e alla Tate Modern di Londra. In esposizione c'erano trecento opere, provenienti da una cinquantina di collezioni pubbliche e private fra Europa e Stati Uniti, che testimoniano un approccio multidisciplinare all’astrazione. La poliedrica artista svizzera (Davos, 1889 – Zurigo,1943), prima donna celebrata sulle banconote elvetiche, ha spaziato tra la pittura, la danza, la scenografia, i costumi, la scultura, il design, l’architettura d’interni, le creazioni tessili e il ricamo. Sophie Taeuber- Arp fu una pioniera dell’astrattismo e considerò allo stesso modo le arti maggiori e le cosiddette minori facendo delle sue opere qualcosa da usare, da indossare, ma soprattutto «da vivere». A Zurigo, dopo un corso di «danza libera» con Rudolf von Laban, si esibì come ballerina al Cabaret Voltaire, culla del Dadaismo, e qui conobbe Jean (Hans) Arp, poeta e artista alsaziano, che sposò a Pura, in Ticino, all’inizio degli anni Venti. Fu lui a metterla in ombra, senza volerlo, in un’epoca in cui le donne non avevano diritto di cittadinanza nell’empireo dell’arte.

L'ordine cronologico
L’itinerario espositivo nel celebre museo newyorkese è stato scandito da un ordine cronologico: dai lavori prodotti a Zurigo, dove l’infaticabile sperimentatrice giunse nel 1914, per finire con quelli creati durante la Seconda guerra mondiale nei mesi che precedettero la sua tragica e improvvisa scomparsa, nel 1943. L’artista sembrava giocare con i materiali, le forme e i colori. Al Moma sono sfilate le variopinte marionette in legno realizzate per la rivisitazione in chiave dadaista della commedia Re Cervo di Carlo Gozzi, andata in scena nel 1918 a Zurigo. Queste piccole meraviglie dalle forme elementari geometriche, che fecero la parodia della psicoanalisi, vennero considerate troppo moderne dai contemporanei, ma spianarono la strada alle iconiche Teste dada in legno. In esposizione a New York c'erano anche gli studi delle creazioni tessili e gli oggetti d’arte decorativa che recano il segno dell’astrazione. Rare borse di perline di vetro, collane e braccialetti, che fecero la gioia delle signore del secolo breve, si accompagnavano a tappeti, arazzi, federe, tovaglie ricamate, cuscini e contenitori in legno tornito. C’era anche una sezione dedicata al design e all’architettura d’interni, con mobili e arredi, che nella seconda metà degli anni Venti catturarono l’attenzione dell’artista di stanza a Parigi e segnarono un passaggio alla grande scala anche con vetrate e pitture murali.

© Jonathan Muzikar
© Jonathan Muzikar

L'uomo dentro, piuttosto che davanti al quadro
Il momento clou era rappresentato dal progetto dell’Aubette di Strasburgo che Sophie condivise nel 1928 con il marito Jean Arp e Theo van Doesburg. Con quel café-dansant multifunzionale, considerato dai critici la Cappella Sistina dell’astrazione, i tre osarono troppo e negli anni Trenta i loro interventi andarono persi; i decori furono coperti per poi rinascere solo nel 2006. Il centro divertimenti modernissimo includeva un cinema-dancing, una sala feste e un foyer. Voleva essere un’opera d’arte totale per «mettere l’uomo dentro, piuttosto che davanti al quadro» e vedeva l’applicazione delle teorie estetiche del movimento olandese De Stijl. Invece quei dipinti astratti e i rilievi in legno dal linguaggio geometrico essenziale, realizzati negli anni Trenta da Sophie Taeuber-Arp, risentivano della partecipazione a gruppi d’avanguardia quali Cercle et Carré e Abstraction–Création, schierato contro i regimi oppressivi che negavano la libertà d’espressione. Intriga anche il  tratto quasi volatile di leggiadri e rigorosi disegni che risalgono al periodo della Seconda guerra mondiale e dell’esilio dell’artista nel sud della Francia.

Solo quando entriamo in noi stessi e cerchiamo di essere del tutto sinceri verso il nostro modo di sentire, riusciremo a fare cose di valore, cose vive
Sophie Taeuber-Arp

Il giusto posto
Non sono mancate le foto e le testimonianze pittoriche dei viaggi dei coniugi Arp tra l’Italia, la Germania e la Spagna. L’occhio è caduto su un impareggiabile acquarello del 1932 dedicato a Cadaques e proveniente dalla Fondazione Arp di Locarno. Tra le righe che introducevano alla mostra abbiamo scoperto che quando Sophie insegnava design tessile e arti applicate nella città sulla Limmat ricordava ai suoi allievi l’importanza di «fare più belle le cose che possediamo».  Una frase tra le tante va dritta al cuore del suo pensiero: «Solo quando entriamo in noi stessi e cerchiamo di essere del tutto sinceri verso il nostro modo di sentire, riusciremo a fare cose di valore, cose vive e in questo modo ad aiutare a sviluppare un nuovo stile che sia adatto a noi». Sophie morì assurdamente nel 1943 per le esalazioni di una stufa a Zurigo nella casa di Max Bill. Sul verbale della polizia alla voce professione era scritto «casalinga». Dopo anni di oblio e all’ombra di Jean Arp questa mostra ha restituito il giusto posto di una grande artista svizzera nel Pantheon dei maestri dell’astrazione.