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Tra le mille sfumature di rosso che legano la Collezione Olgiati

La prestigiosa raccolta dei coniugi luganesi torna a svelarsi al pubblico con una mostra interamente incentrata sulla forza espressiva e sulla potenza simbolica del più suggestivo dei colori, protagonista di numerosi capolavori
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
25.03.2022 06:00

Ah se non ci fosse il rosso! È persino banale sottolineare quanto il mondo, la realtà e, di conseguenza, l’arte sarebbero tristi senza il più suggestivo, potente ed evocativo dei colori. Non a caso il rosso è forse il più amato, ricercato e strumentalizzato colore di tutta la storia dell’arte (Tiziano, chi era costui?) fino a divenire, nel Novecento, un vettore di significati di ogni tipo con valenze diversissime ma sempre di netta forza espressiva. D’altronde se i più eruditi tireranno in ballo le ossessioni cromatiche dei grandi del XX secolo, da Matisse a Rothko, o gli autorevoli studi di psicologia dell’arte che furoreggiavano negli anni Settanta come quelli di Rudolf Arnheim, basterebbe por mente alla saggezza popolare dei nostri vecchi per capire che quello è sempre stato un colore molto speciale. Quando gli antenati lombardo-ticinesi sentenziavano: «Cinq’ ghej püssée ma ross» (Cinque centesimi di più purché sia rosso) non si riferivano soltanto al colore del vino da pretendere nelle osterie ma definivano un dogma ben impresso nell’immaginario collettivo. Il rosso era il colore più importante, eloquente e prezioso e dunque pur di ottenerlo si doveva essere disposti anche a un piccolo sacrificio economico.

Ai significati del rosso, alle sue suggestioni e alla sua potenza simbolica nei grandi capolavori dell’arte contemporanea è ora dedicata la mostra primaverile della sempre sorprendente Collezione Giancarlo e Danna Olgiati che nel suo prestigioso «Schaulager» luganese, fino al 12 giugno, propone «Vedo Rosso» nuovo allestimento tematico che mette in dialogo i lavori di trentacinque artisti e artiste di generazioni, nazionalità e culture differenti in un percorso immersivo, che indaga il tema del rosso nella sua varietà di significati e qualità espressive. In mostra si trovano esposte trentanove opere tra dipinti, fotografie, sculture e installazioni.

L'idea di partenza

Scaturita dalla recente acquisizione di un «quadro specchiante» di Michelangelo Pistoletto dove il colore rosso dei ricambi d’auto posti sugli scaffali assicura un’enfasi formale sull’oggetto statico che occupa quasi interamente la superficie specchiante ostacolando il riflettersi nell’opera dell’osservatore e dell’ambiente circostante, l’esposizione, curata con la consueta «passione competente» dai due coniugi collezionisti, propone un confronto esemplare tra artisti e artiste fra loro distanti formalmente e stilisticamente, ponendo l’accento sulla molteplicità di interpretazioni del colore rosso. L’allestimento si configura dunque come un’originale indagine sulla valenza simbolica del rosso, articolata secondo associazioni visive e semantiche solo in parte fedeli alla cronologia e alle distinzioni storiografiche. È proprio attraverso questa prospettiva inedita sui temi fondativi e sulle principali tendenze che compongono la Collezione che si possono cogliere nuove corrispondenze tra linguaggi solo apparentemente inconciliabili, dove il dialogo tra le avanguardie storiche del Novecento e la contemporaneità è elemento fondante.

Il tesoro degli Olgiati svela dunque nuove gemme (anche per chi ha una certa familiarità con la collezione molte opere sono una assoluta prima visione) rielaborando, stavolta è davvero il caso di dirlo, un fil rouge che dagli anni Sessanta ad oggi crea originali corrispondenze tra opere e correnti anche cronologicamente distanti o in apparenza difficilmente coniugabili.

Sintetizzando al massimo. il percorso espositivo si apre con una riflessione sul colore rosso in termini metafisici. I calchi in gesso dipinto di Claudio Parmiggiani, accostati a quadri di due protagonisti della Transavanguardia italiana, Mimmo Paladino e Francesco Clemente, accolgono il visitatore coinvolgendolo in un’atmosfera di enigmatica sospensione ed evocando un arcano simbolismo che attinge a iconografie del passato, talvolta intessute di memorie personali. Nell’orizzonte simbolico del rosso si coglie anche il rapporto rosso-velocità: l’esuberanza del rosso si accompagna all’iconografia dell’automobile in una varietà di opere che spaziano da un collage di carte colorate del 1929 del futurista Fortunato Depero, al significativo esempio del quadro specchiante di Michelangelo Pistoletto, fino a un omaggio allo scultore Jimmie Durham.

L'«altro» Klein

Segue un capitolo dedicato a uno tra i nuclei fondanti della Collezione Olgiati, il Nouveau Réalisme: i francesi Arman e Martial Raysse esaltano il potere attrattivo del rosso per celebrare gli oggetti della quotidianità elevandoli a nuova materia artistica. E ancora l’uso del rosso contraddistingue le ricerche degli astrattisti italiani Ettore Colla e Piero Dorazio e le celebri impronte di pennello del ticinese Niele Toroni. Uno spazio autonomo è magistralmente dedicato a un nucleo di tre opere dell’anglo-indiano Anish Kapoor, che ci trasporta nella dimensione esistenziale e filosofica del rosso mentre nella sezione successiva un monocromo rosso del 1956 di Yves Klein – uno tra gli esponenti di maggior rilievo del Nouveau Réalisme – è emblematico della scelta di semplicità cromatica assoluta che contraddistingue l’intero percorso creativo dell’artista, nella tensione verso l’immaterialità del vuoto.

Uno spazio immateriale, cosmico e spirituale viene evocato anche nelle superfici monocrome costellate di buchi di Lucio Fontana. Il suo Concetto spaziale (Teatrino), 1965, viene qui presentato in relazione ad altre due importanti opere del XX secolo, un autoritratto del 1969 di Gino De Dominicis e un igloo del 1988 di Mario Merz, in un dialogo ideale sul tema dell’immortalità dell’opera d’arte, nonché sulla dialettica tra individuo e universo. Segue un omaggio all’arte concettuale di Giulio Paolini e ancora nelle opere di Tano Festa e Mario Schifano, protagonisti della scena artistica romana dei primi anni Sessanta, il rosso convive con la sperimentazione pittorica e l’indagine consapevole sul linguaggio dell’arte. Di Schifano viene esposto nella sala successiva l’imponente paesaggio intitolato Palma, 1973, attivando una sorprendente corrispondenza con il cielo infuocato di rosso del dipinto Aurora boreale, 1938, di Luigi Russolo. L’ultima sezione presenta opere della stretta contemporaneità, dove l’italiana Chiara Dynys e la palestinese Mona Hatoum, pur con accezioni e modalità diverse, alludono metaforicamente a tematiche quali la fragilità umana, l’oppressione e la marginalità della condizione femminile, mentre gli americani Kelley Walker e Wade Guyton, protagonisti della scena New Pop, offrono uno sguardo altrettanto profondo sulla simbologia del rosso come rappresentazione ed evocazione della violenza sia essa fisica o psicologica. È il rosso, bellezza, e continua a parlarci come solo lui sa fare.

Vedo Rosso.