Locarno 78

Armenia, il genocidio a lungo dimenticato anche dal mondo del cinema

Il Festival si apre stasera in Piazza Grande con un film ambientato nel piccolo Paese caucasico dalla millenaria tradizione cristiana – Perché la settima arte non ha indagato, se non molto tardi, una pagina così oscura della storia – Il documentario girato negli Stati Uniti nel 1919
Un fotogramma di «Ravished Armenia», il documentario del 1919 che per primo portò sul grande schermo il genocidio degli armeni.
Dario Campione
06.08.2025 06:00

Le luci dello schermo di Piazza Grande si accendono, quest’anno, sull’Armenia, il Paese caucasico dalla millenaria tradizione cristiana stretto tra Turchia, Georgia, Iran e Azerbaigian. È stata una scelta precisa, quella della direzione del Festival di Locarno: portare gli spettatori - con Le Pays d’Arto, lungometraggio d’esordio della 43.enne Tamara Stepanyan stasera in prima mondiale in Piazza Grande - in un territorio poco conosciuto e anche, se vogliamo, poco esplorato dal cinema.

Se è vero che Sergei Parajanov o Atom Egoyan sono nomi notissimi tra gli appassionati di cinema, e se - allo stesso modo - film come La masseria delle allodole (2007), che i fratelli Paolo e Vittorio Taviani trassero dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan, fanno parte di un immaginario ormai collettivo, è altrettanto vero che sull’Armenia e la sua storia non ci sono lunghe filmografie, né particolarmente conosciute.

Soprattutto, il cinema non ha indagato, se non molto tardi, il momento più tragico della vicenda armena, il genocidio subìto per mano turca nel 1915. Come ha scritto la storica armena Siranush Galstyan, «Il mondo ha parlato a bassa voce del genocidio armeno e il cinema internazionale ha generalmente rispettato quel silenzio. Pochi film trattano di questa tragedia immane e per molti versi irrappresentabile». Anche il cinema sovietico, dentro il quale quello armeno fu costretto a “vivere” almeno sino alla fine dell’URSS, «fu incapace di colmare quel vuoto tangibile». Lo stesso Hamo Beknazaryan, il padre del cinema armeno, non «riuscì ad affrontare i dolorosi eventi del passato armeno perché qualsiasi intento nazionalista potenzialmente incontrollabile» era soffocato dalla nomenklatura comunista di Mosca.

Nessun documento diretto

Rispetto ad altri genocidi, di cui abbiamo immagini spietate e dolorose, quello degli armeni non è poi documentato direttamente. «Nessuno è mai riuscito a filmare le esecuzioni di massa e le deportazioni nel deserto siriaco di anziani, donne e bambini - ha detto la storica svizzera Mariann Lewinsky, codirettrice del festival bolognese Il Cinema ritrovato - Le immagini che più si avvicinano sono le fotografie che il soldato, medico e poeta tedesco Armin Wegner scattò vicino ai campi di detenzione siriani di Deir el-Zor, uno dei punti d’arrivo delle marce della morte» cui furono sottoposti gli armeni.

La mancanza di filmati diretti ha, però, ragioni storiche, non solo politiche: «Siamo nel 1915 e il cinema ha soltanto vent’anni. Inoltre, i cinegiornali, nati in Francia nel 1909 con la Pathé e la Gaumont, producono e diffondono, per propaganda e patriottismo, soltanto immagini girate nei teatri di guerra, dove si trovano i pochi operatori. I viaggi sono compromessi, l’industria francese del film crolla. L’Armenia è lontanissima e i turchi trattano la questione come un affare interno», spiega ancora Mariann Lewinsky.

Un racconto vero

Nahapet (Patriarca), girato da Guernikh Malyan nel 1977, è considerato la prima epica lettura cinematografica della tragedia armena. Il film fu tratto dalla novella omonima di Hrachya Kochar, il quale a 15 anni era riuscito a sfuggire ai turchi e a rifugiarsi nell’Armenia orientale, allora controllata dai russi. Ma in realtà, come ha scritto Fabrizia Vazzana - studiosa della cultura turca e traduttrice per Adelphi delle opere di Sait Faik - l’irruzione sulla scena mondiale del genocidio armeno avvenne, al cinema, già nel 1919, con uno sconvolgente documentario muto firmato dal regista Oscar Apfel, Ravished Armenia, storia vera della giovanissima profuga Aurora Mardiganian.

Il film fu proiettato il 19 gennaio 1919 a Hollywood e successivamente a Londra, dove furono censurate sia le scene troppo cruente sia il titolo, cambiato in Auction of souls, «Anime all’asta» (in inglese, ravished vuol dire sia «rapita» sia «stuprata»). Scrive Vazzana: «Aurora, nella Pasqua del 1915, aveva 14 anni ed era già così bella da attrarre in maniera quasi ossessiva Husain Pashà, che voleva inserirla nel suo harem di ragazze cristiane. Il padre di Aurora, un ricco armeno, protegge la figlia perfino quando gli viene proposto, iniziate le persecuzioni, di avere in cambio la salvezza dell’intera famiglia. Il dramma di Aurora inizia così: la sua famiglia viene massacrata davanti ai suoi occhi e lei venduta al mercato degli schiavi di Anatolia. Riesce a fuggire e dopo un lunghissimo viaggio in cui passa da Georgia e Russia, arriva infine nel 1917 a New York. […] Henry Leyford Gates, scrittore e giornalista, conosce Aurora, la ascolta e raccoglie in un libro le sue memorie ferme e nitide come diapositive. Nasce così, la biografia di Aurora Mardiganian, intitolata Ravished Armenia: The Story of Aurora Mardiganian, the Christian Girl, Who Survived the Great Massacres. Le scene raccontate dalla giovane superstite saranno fedelmente adattate (e montate con immagini di archivio della Prima guerra mondiale) da Oscar Apfel, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su cosa fosse davvero successo agli armeni. Aurora interpreterà se stessa, come faranno altri perseguitati, nel frattempo giunti in America».

«Sul set, in nome della veridicità, c’erano donne costrette a scegliere tra gli stupri e le crocifissioni, tutte le paure e le angosce descritte da Gates. Aurora si ritrova in quel buio e gelido abisso di dolore ancora una volta durante le riprese, e puntualmente a ogni presentazione del film. È un costante scavare nella ferita, che diventa così profonda da causarle un esaurimento nervoso e imprigionarla in un lungo e soffocante silenzio, lo stesso del film nato grazie alle sue memorie».

Vicenda tragica attraverso i libri

Le ricerche
La storia del genocidio degli armeni è stata oggetto di moltissime ricerche. Tra le più significative pubblicate in italiano segnaliamo il libro di Marcello Flores Il genocidio degli armeni (Il Mulino, 2015) e il libro di Alberto Rosselli L’olocausto armeno (Mattioli 1885, 2015).

Uno sguardo generale
Uno sguardo più generale si può trovare in Storia degli armeni, di Aldo Ferrari e Giusto Traina (Il Mulino, 2020) oppure in L’Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo, di Aldo Ferrari (Salerno, 2019)