L'intervista

«Dialogare con il territorio per far crescere la rassegna»

La presidente del Locarno Film Festival, Maja Hoffmann, parla del presente e del futuro della rassegna culturale più importante del Paese
© CdT/Gabriele Putzu
Paride Pelli
07.08.2025 06:00

La presidente del Locarno Film Festival, Maja Hoffmann, ha parlato ieri mattina con il Corriere del Ticino del presente e del futuro della rassegna culturale più importante del Paese. Una maggiore attenzione e un coinvolgimento più ampio di tutti gli attori territoriali sono gli obiettivi a breve termine del nuovo Cda.

Signora Hoffmann, per il secondo anno lei è qui come presidente del Film Festival. La sua visione di Locarno è un po’ cambiata? Nel 2024 era tutto nuovo, adesso ha sicuramente più esperienza. Come si è evoluto il suo sguardo sulla manifestazione?
«Credo siano due questioni diverse. La mia visione del cinema non è mutata molto, ma si è evoluta, perché il mondo cambia in fretta. Di conseguenza, continuo a pormi numerose domande. Per quanto riguarda Locarno, invece, quest’anno l’esperienza è stata completamente diversa: più coinvolgente. Ho infatti potuto seguire dall’inizio alla fine tutte le fasi di allestimento della rassegna: il lavoro dei programmatori, le riflessioni e le attività svolte all’interno del Consiglio d’amministrazione. Mi sono resa conto che solo accumulando conoscenze ci si può fare un’idea più vicina alla realtà. È un’esperienza molto diversa da quella del primo anno, quando sono arrivata più o meno all’improvviso, poco prima dell’inizio del festival. Ora, invece, c’è stato un lavoro di fondo che ha inciso anche sulla mia visione di Locarno, non solo del cinema in sé».

Ha citato il Consiglio d’amministrazione, all’interno del quale ci sono stati molti cambiamenti, tra cui l’arrivo di Roberto Cicutto, una figura di grande rilievo. Come può, quest’ultimo, contribuire a far crescere ancora di più il festival?
«La domanda che mi pongo è se possiamo ancora crescere. Detto questo, Roberto e io abbiamo scambi fruttuosi. Lui ha grande esperienza, ed è vicino al mondo del cinema, non solo alla Biennale di Venezia. Quando ha espresso il desiderio di collaborare con Locarno, ne siamo stati felici: per la sua rete di contatti ma, soprattutto, per le idee che è in grado di portare. Anche l’ingresso di Gilles Marchand è stato importante, perché ci permette di beneficiare dei suoi contatti e delle sue riflessioni, soprattutto qui in Svizzera. In generale, il CdA è cambiato: ci sono meno persone, ma più voglia di partecipare attivamente. Le discussioni sono diventate davvero importanti. Ugualmente fondamentale è il lavoro di Luigi Pedrazzini, quello del CEO Raphaël Brunschwig e quello di tutta l’équipe che lavora qui tutto l’anno. Dopo due riunioni importanti e un ritiro ad Arles per conoscerci meglio, stiamo cercando di formulare una visione comune. Credo a un’adesione collettiva invece che a una linea imposta dall’alto. Importante è anche che Giona Nazzaro abbia accettato di prolungare il suo contratto fino all’edizione degli 80 anni: questo ci dà una libertà d’azione e una serenità molto maggiori rispetto all’urgenza con cui si è lavorato l’anno scorso».

All’inizio si pensava che lei sarebbe arrivata a cambiare tutto. In realtà, ci sono stati sì grandi cambiamenti, ma anche conferme importanti quale, appunto, quella di Nazzaro alla direzione artistica. In un’intervista recente, lei ha parlato della visione per il 2027, l’80. edizione del festival. Che cosa succederà?
«Si è parlato di un possibile cambiamento delle date; non so se sarà luglio. Di certo, sappiamo che la posizione attuale nel calendario non è ideale per l’industria cinematografica internazionale. Per attori, registi e produttori non è un periodo favorevole. Il mio ruolo, quindi, è attirare l’attenzione su questo aspetto. Attualmente, siamo compressi tra due giganti: Cannes e Venezia. È difficile competere con loro, anche se facciamo bene il nostro lavoro. Tuttavia, abbiamo il vantaggio di muoverci su altri livelli. Possiamo valorizzare un cinema più impegnato, dare spazio a voci che rischiano di restare schiacciate tra quei due poli e scoprire nuovi talenti».

Quella in corso quest'anno è un'esperienza molto diversa dalla precedente

È rimasta sorpresa dalle polemiche locali? Mi riferisco allo spostamento di date ma anche alla realizzazione del nuovo schermo in piazza Grande. Ogni volta che si prova a cambiare qualcosa, sembra nascere inevitabilmente una reazione.
«Quando un evento è ben radicato, si tende a non voler cambiare alcunché. Stiamo lavorando in questo senso: organizzeremo più incontri informativi e momenti di consultazione, che giudico importanti per capire le sensibilità di questo territorio. Per questa ragione sono contenta di avere una squadra ben radicata nella realtà ticinese. Quest’anno, abbiamo lavorato tanto per far avanzare il festival; nel prossimo, potremo concentrarci anche sull’accompagnare meglio il territorio in questo percorso».

Conciliare le dimensioni locale, regionale, nazionale e internazionale: è questa la sfida?
«È inevitabile. Siamo un festival internazionale. E la Svizzera, se non si chiude in sé stessa, ha grandi opportunità. Il Ticino, invece, rischia di isolarsi e questo sarebbe un peccato non solo per il festival ma anche per il turismo. L’apertura è fondamentale».

Ci sono possibili sinergie con la Fondazione LUMA?
«Alla Fondazione sono interessati al cinema d’autore. Locarno dev’essere una piattaforma. Anche se non posso sostenere finanziariamente certe iniziative, posso comunque mettere in contatto le persone giuste per fare nascere idee. Se avremo attività durante l’anno, possiamo immaginare collaborazioni anche con Open Doors o con gli autori emergenti. Era già così prima del mio arrivo».

Ha detto che lei non è sponsor del festival. In passato ci si è interrogati sul finanziamento della rassegna. Oggi vediamo l’arrivo di nuove partnership: è una strada che si sta aprendo?
«Trovo che sia un peccato parlare solo di esclusività a livello di grandi sponsor. Oggi il nostro valore è più elevato di quello che ci viene riconosciuto. Dobbiamo prima rafforzare la nostra identità e la fiducia nella qualità del lavoro che facciamo. All’estero, le critiche sono molto positive. Sappiamo che stiamo facendo bene, che offriamo una piattaforma incredibile. Cambiare senza rafforzare questi aspetti è difficile. Purtroppo, all’esterno ci si ferma a discussioni sulle date. Ma se si confrontano Locarno e Venezia, non ci sono molte differenze nei contenuti. Le vere differenze sono economiche».

Magari anche il cambiamento di date potrebbe aiutare a livello di sponsor.
«Una sola settimana non fa la differenza».

Abbiamo lavorato molto per far avanzare il festival, nel 2026 ci concentreremo sul territorio

Locarno è una città piccola, ma aperta al turismo. Che cosa può fare per stare al passo con il festival?
«Credo che la Città si stia impegnando. E non solo Locarno: tutta la regione. Sarebbe un peccato non cogliere questa opportunità. Il festival porta benefici, e la Città dovrebbe valorizzarli».

I commercianti, quest’anno, hanno deciso di tenere aperto anche la domenica. Sono piccoli passi per aiutare il festival. Forse, però, serve maggiore coordinamento, non crede?
«Sì, e penso che il prossimo anno andremo più a fondo. Serve più attenzione su certi aspetti. Per esempio, manca un grande hotel. Serve un luogo per accogliere ospiti senza disturbare troppo il centro, come la piazza. Si parlava anche di giugno come periodo migliore, perché c’è più gente, ma ci sono pure più difficoltà per via delle scuole. Se si trovassero luoghi alternativi e persone pronte a impegnarsi, si potrebbe fare molto».

Insomma, servono più persone coinvolte, non solo operatori economici.
«Esatto. Gli hotel, i ristoranti, lo spirito di accoglienza, penso siano assolutamente fondamentali. L’anno scorso ho trovato un grande entusiasmo. Quest’anno mi dicono che, a causa dello schermo, c’è qualche malumore. Vedremo stasera (ieri, ndr). Se salgo sul palco e mi fischiano, capirò. Io non sono qui per impormi. L’ho sempre detto: partecipo solo se posso dare un contributo».

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