La recensione

Il kolossal di Chazelle sulla follia del cinema

Dopo il successo di «La La Land», il cineasta americano firma una ricostruzione dai toni spettacolari, magistralmente scritta e diretta, della frenetica Hollywood di un secolo fa: ecco a voi «Babylon»
Nellie LaRoy (Margot Robbie) e Manny Torres (Diego Calva) cercano fortuna nel cinema.
Antonio Mariotti
21.01.2023 14:38

A poche settimane di distanza da The Fabelmans, ecco giungere in sala un altro «filmone» che parla del mondo del cinema. Se nel suo ultimo capolavoro Steven Spielberg parte dalla propria autobiografia per narrarci una vicenda dai toni intimistici, con Babylon (il suo terzo lungometraggio dopo Whiplash e La La Land) Damien Chazelle firma un vero e proprio kolossal ambientato nel pieno degli «anni ruggenti» fra le due guerre mondiali. Un film tumultuoso, spregiudicato, senza un attimo di tregua nel corso delle sue oltre tre ore di durata, impreziosito dalle bellissime immagini girate in 35 mm in formato cinemascope da Linus Sandgren, dal montaggio mozzafiato di Tom Cross e dalla colonna sonora composta da Justin Hurwitz in omaggio al miglior jazz dell’epoca. Babylon alterna così scene di massa (come i megaparty dove scorrono fiumi d’alcol e di droghe varie, o le riprese dei primi peplum) e momenti drammatici legati alla vita dei protagonisti (due star del muto interpretate con estrema bravura da Brad Pitt e Margot Robbie). Non mancano però neppure sequenze di aspra critica nei confronti della Hollywood di oggi che ha smarrito l’esuberanza e il coraggio delle origini per sottomettersi al potere del denaro e al giudizio ipocrita dei benpensanti. Da antologia in questo ambito la scena in cui Margot Robbie cerca di ridare smalto al proprio personaggio caduto in disgrazia presentandosi a un ricevimento dell’alta società losangelina.

Tra muto e sonoro

Se la prima parte del film si può leggere come l’affascinante ricostruzione storica di un’epoca pionieristica dove improvvisazione e genialità vanno a braccetto, a fare da spartiacque è l’avvento del sonoro alla fine degli anni Venti. Non a caso, Babylon è diviso a metà dalla frase «Tutto cambierà» pronunciata con apprensione da Manny Torres (interpretato dall’attore messicano Diego Calva) che rappresenta il punto di vista più «neutrale» su questo mondo in continua ebollizione, il personaggio in cui lo spettatore può identificarsi e che lo accompagnerà fino all’epilogo, ambientato all’inizio degli anni Cinquanta. Per Damien Chazelle questo cambiamento epocale, che segna la fine della carriera di molti attori incapaci di adattarsi alle esigenze teatrali del sonoro, diventa la metafora di una decadenza irreversibile, dell’asservimento alle costrizioni di una tecnica che rischia di soffocare la fantasia. Memorabile a questo proposito la scena in cui Margot Robbie interpreta per la prima volta una scena con il suono in presa diretta. Una parodia dal tono amaro che vede il cinema passare dagli studi all’aria aperta, dove a contare era la qualità e la quantità della luce naturale (il motivo primigenio per cui la settima arte si era installata in California), ai tetri capannoni ingombri di fari, cavi e diabolici marchingegni d’ogni tipo.

Il destino di due stelle

Si potrebbero citare altre scene indimenticabili che costellano il film del trentottenne Chazelle, ma vale la pena sottolineare anche il suo talento di sceneggiatore, grazie al quale si è fatto conoscere prima di debuttare nella regia una decina d’anni fa. Babylon è un progetto che coltivava fin da giovanissimo e al quale ha dedicato 15 anni di ricerche. Un lavoro preparatorio che si nota in ogni dettaglio del film e che permette in particolare di dare credibilità ai due personaggi principali. Il Jack Conrad di Brad Pitt è un dandy scafato e intelligente dalla personalità complessa che si rende subito conto dei suoi limiti all’avvento del sonoro. La Nellie DaRoy di Margot Robbie è la ragazza povera con alle spalle un dramma familiare che si impone grazie alla sua capacità di versare lacrime a comando portandosi dietro un’irrefrenabile senso di rivolta nei confronti dell’establishment che la spinge su sentieri sempre più perigliosi. Due facce della stessa medaglia, quella lucida e quella opaca, indissolubili dalla magia del cinema.

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