Con le slot e il videopoker 11 milioni al giorno

ROMA - Circa 12 mila tavoli da gioco virtuali al giorno, un giro d'affari quotidiano di 11 milioni e mezzo di euro con guadagni netti per i gestori di almeno il 10 percento. Sono i numeri dell'attività, su tutto il territorio italiano, di Videolottery e gioco online illeciti scoperta e sgominata dalla Guardia di Finanza. Undici gli arresti finora.
L'attività ruotava attorno a due figure principali, l'imprenditore Luigi Tancredi, detto anche il 're delle slot' in contatto con varie consorterie mafiose, e Nicola Femia, vicino alla storica famiglia 'ndranghetista dei Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica (Calabria).
Bastava appoggiarsi a server stranieri e installare le postazioni di gioco negli esercizi pubblici per "creare un sistema parallelo di scommesse e giochi on line", un'attività "ben più redditizia della droga", ha spiegato in conferenza stampa il procuratore aggiunto Michele Prestipino illustrando l'operazione che ha portato agli arresti per associazione a delinquere a carattere transazionale finalizzati all'omesso versamento dei tributi erariali e alla truffa ai danni dello Stato.
Le indagini, lunghe e complesse, portate avanti grazie a servizi di pedinamento e intercettazione, oltre alla collaborazione di alcuni pentiti, hanno preso il via da due tentati omicidi, avvenuti a Ostia tra il 2011 e il 2012 ai danni di soggetti legati a locali in cui erano installate le postazioni di gioco.
L'imprenditore Tancredi - ha precisato il procuratore - "non è un mafioso ma si avvale del controllo sociale e del territorio che le organizzazioni mafiose sono in grado di esercitare per occupare quel pezzo di mercato delle scommesse on line, creare postazioni nei locali pubblici e vincere così la concorrenza con metodi illeciti".
Ad esponenti della camorra legati al clan dei Casalesi (che faceva capo a Michele Zagaria, Antonio Iovine e Francesco Schiavone), veniva versata al mese una cifra compresa tra i 45mila e i 60mila euro. Da qui la contestazione al solo Tancredi dell'aggravante mafiosa. L'imprenditore, secondo gli investigatori, era già molto conosciuto in campo nazionale ed internazionale per aver avviato dei veri e propri casinò virtuali. "Aveva una società legale - ha detto ancora Prestipino - ma poi aveva perso l'autorizzazione da parte dell'Agenzia dei Monopoli".