Ecco spiegato perché si dice «Dare un saurau» quando si dà un sonoro ceffone

Stralci
Gino Giulini, rievocando in «Novella» i fasti della famosa società milanese del <Giardino», racconta la storia di uno scherzo giuocato all’Arciduca Ranieri quando, in occasione dei suoi sponsali, nel 1820, venne data nelle sale della società una magnifica festa in suo onore. Veramente, l’Arciduca s’era sposato due anni prima, ma la società stava allora allogandosi nella nuova sede e dovette rimandare la celebrazione d’un paio d’anni.
Ne guadagnò la festa che riuscì di uno splendore senza pari. Basti dire che per trasformare il magnifico giardino sociale in una fantastica scena da teatro era stato appositamente il Sanquirico, scenografo della Scala. Nè minor apparato trovavasi nelle sale interne, dove la restaurazione aveva riportato nel salone dell’Arganini spadini, calze di seta e parrucche incipriate.
Ma la festa, bene iniziata, doveva aver men lieto fine. Mentre, infatti, il corteo delle carrozze vicereali aveva ingombrata tutta la contrada di San Paolo nell’attesa delle Loro Altezze, un giovane che apparteneva alla Compagnia della Teppa giocò all’Arciduca una burla atroce. Avvicinatosi questo giovane al battistrada, gli ordina in perfetto tedesco di rientrare nelle scuderie. L’ordine viene subito eseguito. Immaginarsi cosa successe all’uscita della Corte e dei Principi rimasti a piedi, e il ridere che se ne fece per tutta la città.
Cinque anni dopo l’Imperatore Francesco I, con l’imperatrice Carolina, i Vicereali e il Granduca Francesco Carlo, intervengono ad un sontuoso ballo del «Giardino», per il quale si era dato fondo anche alla guardaroba del palazzo. Il ballo andò bene, ma non così la serata alla Scala. Tra la folla degli spettatori vi era un individuo, nella platea, che stava ostinatamente col cappello in testa, attirando tutti gli sguardi sopra di sé. Allora il governatore, Conte Saurau, indignatissimo, scese in un palco di prima fila vicino a lui e con un potente ceffone gli fece volar via il cappello. L’antipatico incidente suscitò rumore e il popolo, pronto motteggiatore, coniò un’espressione nuova: «Dare un saurau».
È noto che la moneta, sia di carta sia di metallo, può servire di veicolo ai germi patogeni. Ora due studiosi americani, Darlington e Park, hanno dimostrato quanto siano temibili, da questo punto di vista, i biglietti di banca. Uno di questi biglietti fu «inoculato» coi bacilli della difterite e questi ci si ritrovarono fino a un mese dopo, mentre delle monete di rame e di nichelio, dopo essere state nella bocca di fanciulli colpiti da difterite, a ventiquattr’ore di distanza non presentavano alcun bacillo. I risultati di questi esperimenti – dice Minerva – vengono spiegati col fatto che la sostanza metallica delle monete, sotto l’azione dissolvente dell’umidità, è nociva ai batteri, mentre sulla carta monetata tale azione manca. Esaminando monete metalliche e biglietti provenienti dalla vetrina di un cambiavalute, il Park trovò 40 batteri su una moneta di nichelio, 1250 su un biglietto di banca abbastanza pulito e 73 mila su un biglietto sudicio.
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