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Giovani talenti lontani dal Ticino? Partire è bene, tornare è meglio

Il contadino Matteo Ambrosini, lo chef Piero Roncoroni e l'ostetrica Anna Metzler ci raccontano le loro scelte professionali e di vita
Nicola Bottani
Nicola Bottani
09.04.2022 06:00

Ci sono giovani che lasciano il Ticino per studiare o lavorare e poi non tornano più dove sono nati e cresciuti. Altri, invece, decidono di tornare al di qua delle Alpi per proseguire la carriera professionale dopo essersi perfezionati oltre San Gottardo o all’estero, magari per coronare un sogno cullato fin da bambini o semplicemente per amore. Di questi ultimi ne abbiamo conosciuti tre: lo chef Piero Roncoroni, il contadino Matteo Ambrosini e la levatrice Anna Metzler. Ecco cosa ci hanno raccontato di loro.

Anna Metzler racconta di lei nella seconda parte di questo servizio e qui lasciamo la parola a Piero Roncoroni e Matteo Ambrosini per un motivo ben preciso: entrambi hanno fondato una loro azienda. Piero, che ha 30 anni, a Comano ha infatti aperto l’Osteria del Centro, mentre Matteo, di sei anni più giovane, partendo da zero ha messo in piedi la sua azienda agricola a Cevio, in Vallemaggia.

Matteo Ambrosini ha diciotto mucche e una trentina di capre. © CdT/Chiara Zocchetti
Matteo Ambrosini ha diciotto mucche e una trentina di capre. © CdT/Chiara Zocchetti

Fra capre, mucche e alpeggi
«Sono cresciuto a Piano di Peccia, in Lavizzara, e fin da ragazzino ho sempre desiderato fare il contadino, anche se la mia non è una famiglia di contadini. Infatti, d’estate davo una mano agli alpigiani ed è lì che è scoccata la scintilla», esordisce Matteo Ambrosini che mentre accudisce le sue capre aggiunge: «Quindi, non ho mai avuto dubbi su quella che sarebbe stata la mia vita futura, così che ho frequentato la scuola agricola a Zollikofen e a Landquart, affiancando ai corsi scolastici l’apprendistato. Il tutto con ben in mente una cosa: tornare in Ticino per fare il contadino di montagna».

Un lungo percorso
Piero Roncoroni lo incontriamo invece nella sua Osteria del Centro a Comano. «Dopo aver finito l’apprendistato all’Hotel Villa Castagnola a Lugano, per perfezionarmi sono stato in Inghilterra, a San Sebastian nei Paesi Baschi e infine a Barcellona, città natale di mia moglie Mercedes, che lavorava come maestra in una scuola elementare e ora dà una mano in sala nel nostro ristorante. Ero convinto di tornare in Ticino già prima di conoscere Mercedes, perché sognavo di aprire un mio locale nella mia terra. Il ristorante era un obiettivo, la famiglia un desiderio. Il destino ha voluto che nell’ultimo anno del mio percorso all’estero ho conosciuto la donna della mia vita, che per amore ha iniziato questo nuovo viaggio qui a Comano insieme a me».

Mercedes, intanto, prepara i tavoli per il servizio di mezzogiorno, e ci chiede se Piero ha raccontato di Isabella. «No, a dire la verità...», le diciamo. Mercedes si accarezza il ventre e con un sorriso spiega che è la loro primogenita, la cui nascita è attesa per giugno.

Lo chef Piero Roncoroni nella cucina del suo ristorante, l'Osteria del Centro a Comano. © Ti-Press/Pablo Gianinazzi
Lo chef Piero Roncoroni nella cucina del suo ristorante, l'Osteria del Centro a Comano. © Ti-Press/Pablo Gianinazzi

«I miei genitori hanno divorziato quando avevo quattro anni – prosegue Piero, che è cresciuto a Savosa e Massagno – e quindi sono sempre stato un bambino con lo zaino in spalla, per così dire. Durante la settimana una sera dormivo da mio padre, un’altra dalla nonna, poi passavo un weekend con lui e l’altro con mia madre. Fra un’esperienza lavorativa e l’altra, all’estero sono poi rimasto per una decina d’anni e nel 2020 mi sono detto che era il momento di tornare in Ticino, certo per aprire un mio ristorante, ma soprattutto per mettere su famiglia con Mercedes, per trovare un approdo finalmente stabile sia per la mia vita professionale sia per quella affettiva. Insomma, l’obiettivo è poi diventato duplice e se un paio di anni fa non avessi preso la decisione di perseguirlo con convinzione, in Ticino probabilmente non sarei più tornato».

Lo chef si prende un paio di minuti per dare istruzioni all’apprendista cuoco Edoardo, dopo di che precisa: «E non sarei più rientrato in Ticino anche perché durante il mio secondo soggiorno a Barcellona ho lavorato sotto la guida dello chef Xavier Pellicier, nel suo Céleri, ristorante che proprio in quel periodo si è guadagnato una stella Michelin ed è stato designato miglior ristorante del mondo per la preparazione e l’utilizzo dei vegetali. Ed era stata una grande soddisfazione poter contribuire al raggiungimento di questi traguardi».

Ambrosini schierati al completo
Torniamo a Cevio con Matteo, che è impegnato pure sul fronte associativo con i Giovani contadini ticinesi e la Società ticinese di economia alpestre. «Una volta rientrato in Ticino ho iniziato a Piano di Peccia con cinque mucche e sette capre. Troppo poco, però, per avere reali possibilità di guadagnarmi la pagnotta. Allora mi sono guardato in giro per vedere se c’era la possibilità di rilevare un’azienda già esistente, ma poiché le ricerche non sono andate a buon fine, mi sono lanciato per fondarne una io partendo da zero».

L'azienda agricola di Matteo Ambrosini, con annesso caseificio e self service dove si possono acquistare le sue specialità. © CdT/Chiara Zocchetti
L'azienda agricola di Matteo Ambrosini, con annesso caseificio e self service dove si possono acquistare le sue specialità. © CdT/Chiara Zocchetti

Ed ecco che allora nell’operazione è stata coinvolta tutta la famiglia Ambrosini... «Un grande aiuto me l’ha dato mio padre Juanito, ingegnere agronomo che lavora per il Cantone e conosce la materia anche dal punto di vista burocratico, indispensabile per sbrigare alcune pratiche fondamentali per gestire un’azienda agricola. Inoltre, posso contare su mia madre Katia per alcune mansioni qui a Cevio e i miei tre fratelli più giovani: Nicola che ha un centinaio di capre a Fontana in Valle Bavona e con cui collaboro, Daniele, di formazione panetterie, e Simone che è falegname. Daniele e Simone mi aiutano spesso, in particolare nei mesi estivi, in tempo di fienagione e quando siamo all’Alpe di Porcareccio, in Valle Onsernone».

Mentre Matteo ci parla, una giovane donna si dà pure da fare per accudire le 18 mucche e la trentina di capre che si trovano a Cevio, unitamente a un cavallo e a un paio di pony. «È Gloria, la mia compagna che lavora a tempo parziale come fisioterapista e il resto con me».

Alle origini del cibo
Del lavoro in un’azienda agricola ne sa qualcosa anche Piero Roncoroni, che all’Osteria del Centro fa dei piatti a base verdure il suo fiore all’occhiello. «Durante il mio percorso di perfezionamento ho pure lavorato in una fattoria nei pressi di Winterthur. Ho infatti voluto toccare con mano il lavoro che sta alla base dei prodotti che utilizziamo nelle nostre cucine, dalla semina al raccolto. È stata un’ulteriore tappa importante per il mio cammino professionale, come è stato anche con il servizio militare. Come cuoco ho fatto la ferma continuata e quei diciotto mesi, in particolare, mi hanno insegnato a condurre dovutamente un team. Il che è altrettanto importante, in una professione come la mia. Fra l’altro, in fattoria mi sono sentito in famiglia come forse mai fino ad allora, perché a tavola si parlava e discorreva tutti insieme con grande piacere».

Il fiore all'occhiello dell'Osteria del Centro di Piero e Mercedes Roncoroni sono i piatti a base di verdure. © Ti-Presso/Pablo Gianinazzi
Il fiore all'occhiello dell'Osteria del Centro di Piero e Mercedes Roncoroni sono i piatti a base di verdure. © Ti-Presso/Pablo Gianinazzi

Investimenti e scelte mirate
Ma quanto può costare partire dal nulla come ha fatto Matteo? «È vero che si possono ottenere significativi contributi dallo Stato, aiuti dalle varie associazioni a sostegno del territorio e altri vari finanziamenti e prestiti (io, per esempio, ne ho ricevuti anche da amici e conoscenti), ma bisogna comunque rimboccarsi le maniche, per riuscire a partire. Anche perché i soldi in ballo sono molti: gli investimenti fatti per avviare e gestire la mia azienda finora hanno raggiunto grosso modo i tre milioni di franchi. Da gestire non sono poca cosa, motivo per cui ho dovuto anche focalizzare bene su cosa puntare, per guadagnarmi da vivere».

La cantina dei formaggi di Matteo Ambrosini, che nei mesi estivi produce il suo formaggio all'Alpe di Porcareccio, in Valle Onsernone. © CdT/Chiara Zocchetti
La cantina dei formaggi di Matteo Ambrosini, che nei mesi estivi produce il suo formaggio all'Alpe di Porcareccio, in Valle Onsernone. © CdT/Chiara Zocchetti

Nel frattempo con Matteo diamo un’occhiata al caseificio dove produce i suoi formaggi – di mucca, capra o fatti con latte misto di capra e mucca – e scendiamo nella cantina dove li fa maturare. Sono decine di forme che vende anche direttamente nel self service presente nella sua azienda. «Questa cantina è la mia banca, perché come contadino di montagna è soprattutto con il formaggio che mi guadagnano da vivere. Quella di puntare sui prodotti caseari è stata una scelta mirata fin da subito, quando ho deciso di fondare l’azienda. Infatti, ho dovuto anche scegliere il settore merceologico i cui introiti mi avrebbero potuto dare le garanzie maggiori, almeno sulla carta, per partire con il piede giusto, come è poi stato alla prova dei fatti. Anche se di garantito non hai niente, quando ti lanci in un’impresa partendo da zero come ho fatto io. Potrei dire che l’ho fatto con una buona dose di... incoscienza, ma probabilmente è stato meglio così, perché se avessi calcolato tutti i pro e i contro fino al più piccolo dei dettagli, magari avrei desistito, avrei cercato un’altra via per coronare il sogno che ho cullato fin da ragazzino».

Avanti nonostante la pandemia

A volte, però, si pensa a un piano e poi lo si deve rivedere. Il che non è per forza un male, come è stato nel caso di Piero Roncoroni. «Quando mi sono lanciato nel mio progetto, ho fatto la scuola di esercente e mi sono messo a cercare il posto dove aprire il ristorante. Proprio in quei mesi, però, è scoppiata la pandemia di COVID-19, ma non abbiamo disarmato. Anzi ci siamo ingegnati per non mollare ancor prima di iniziare e insieme a Mercedes abbiamo pensato di proporre dei cofanetti di tre portate da portare e gustare a casa propria».

Lo chef Piero Roncoroni ritratto nella sala dell'Osteria del Centro. © Ti-Press/Pablo Gianinazzi
Lo chef Piero Roncoroni ritratto nella sala dell'Osteria del Centro. © Ti-Press/Pablo Gianinazzi

L’idea è stata doppiamente vincente, come spiega ancora il nostro giovane chef. «In particolare abbiamo proposto le nostre scatole gourmet per San Valentino, la Festa della donna e quella del papà. La formula ha avuto successo e soprattutto ci ha permesso di farci conoscere e apprezzare ancor prima dell’apertura vera e propria dell’Osteria del Centro. Il nostro settore, quello della ristorazione, ha certamente sofferto in seguito alla pandemia. Io e Mercedes, però, non abbiamo mai smesso di credere nel nostro progetto e chi ha incominciato ad apprezzare le nostre proposte culinarie grazie al take away, ha poi iniziato a frequentare l’Osteria del Centro, dove puntiamo sui piatti vegetariani e sui prodotti del territorio. Grazie al passaparola, la cerchia dei nostri clienti si è allargata ulteriormente, permettendoci quindi di guardare con fiducia al futuro e anche di trovare subito quella stabilità che cercavo insieme a Mercedes al di fuori dell’attività professionale, per la nostra vita famigliare».

«Ne ha beneficiato la mia autostima»

Anna Metzler ha 27 anni, è levatrice e dal mese di giugno del 2021 è attiva presso l’ospedale La Carità a Locarno. Si è diplomata in ostetricia alla Scuola universitaria professionale di Winterthur, dopo di che per un anno e nove mesi ha lavorato all’Ospedale cantonale di Aarau.

Anna Metzler ha studiato ostetricia a Winterthur e ora lavora all'ospedale La Carità di Locarno. © CdT/Chiara Zocchetti
Anna Metzler ha studiato ostetricia a Winterthur e ora lavora all'ospedale La Carità di Locarno. © CdT/Chiara Zocchetti

Scelte obbligate e di cuore
«Per quel che riguarda i miei studi, la scelta di partire è stata obbligata, perché in Svizzera le scuole universitarie professionali di ostetricia sono tutte oltre San Gottardo», spiega innanzitutto Anna, che ha poi deciso di rientrare nel nostro cantone per amore. «Il mio compagno è legatissimo al Ticino, dove è cresciuto come me. È falegname e dopo che mi sono trasferita per studiare a Winterthur, gli avevo proposto di fare un’esperienza professionale nella Svizzera interna, anche per imparare il tedesco. In quel periodo ha però ottenuto a Lugano un posto di lavoro a cui teneva molto e dunque sono poi tornata per vivere insieme a lui. Il ritorno mi ha inoltre permesso di frequentare di nuovo con regolarità le amiche e gli amici di sempre, altra cosa che non mi dispiace affatto, anzi!».

Anna Metzler mentre osserva una mamma che cambia il suo neonato nel reparto maternità dell'ospedale locarnese. © CdT/Chiara Zocchetti
Anna Metzler mentre osserva una mamma che cambia il suo neonato nel reparto maternità dell'ospedale locarnese. © CdT/Chiara Zocchetti

Una nuova realtà
«Ad Aarau – prosegue Anna Metzler – mi trovavo bene e anche lavorare lì mi piaceva. Quando ho cercato un posto di lavoro in Ticino, ho avuto un po’ di timore, perché negli ospedali come La Carità i reparti di maternità sono più piccoli rispetto a quello che ho conosciuto ad Aarau. Sono una persona che sente il bisogno di confrontarsi spesso con le colleghe e temevo un po’ il fatto di eventualmente ritrovarmi da sola a gestire situazioni complicate. Invece, è andato tutto per il verso giusto, in quella che è diventata la mia nuova realtà professionale».

Anna spiega quindi quali sono le principali differenze fra l’ospedale cantonale argoviese e quello locarnese. «Ad Aarau i medici sono presenti ventiquattr’ore su ventiquattro e quindi, in caso di necessità, quando si presenta una situazione critica oppure potrebbe diventare tale, puoi rivolgerti subito a loro. Inoltre, è maggiore il numero dei parti, e ti sembra di essere come in una specie di catena di montaggio, per dare un’idea. Alla Carità, invece, fin da subito ho dovuto assumermi maggiori responsabilità e ciò è stato importante per acquisire ulteriore fiducia in me stessa e capire che avevo dalla mia le conoscenze e le capacità per cavarmela da sola anche se durante un parto ci sono delle fasi complicate. Ed è sicuramente un aspetto positivo sul piano personale, dell’autostima».

Affinché il nuovo arrivato non abbia freddo... © CdT/Chiara Zocchetti
Affinché il nuovo arrivato non abbia freddo... © CdT/Chiara Zocchetti

Momenti di crescita
Ci sono poi altri lati positivi, come racconta ancora Anna. «Alla Carità, fra un parto e l’altro, abbiamo momenti di tranquillità che ci permettono di confrontarci fra noi levatrici, di scambiare idee e in definitiva di crescere ulteriormente sia come persone sia per quel che riguarda la nostra professione. Senza contare che possiamo prenderci cura con maggiore vicinanza delle mamme e dei neonati, altro fattore che ci arricchisce non poco. Quindi, in definitiva posso dire che quella di tornare in Ticino sia per lavorare sia per vivere è stata una scelta giusta sotto tutto i punti di vista, per quanto mi riguarda».

Altra immagine dal reparto maternità della Carità con un'opera dell'artista Franziska Kopp. © CdT/Chiara Zocchetti
Altra immagine dal reparto maternità della Carità con un'opera dell'artista Franziska Kopp. © CdT/Chiara Zocchetti

Partire è comunque un bene
«Andare a studiare oppure seguire una qualsiasi formazione professionale fuori dal Ticino – annota in conclusione Anna Metzler – è comunque importante, anche se già si pensa di poi tornare dove siamo nati e cresciuti. Giocoforza devi infatti imparare in fretta a vivere e a cavartela da solo, a risolvere eventuali problemi senza poter contare sull’aiuto dei genitori o di altre persone che ti sono vicine. C’è inoltre la sfida di trovarti in un nuovi ambienti, dove devi utilizzare una lingua che non è quella materna. E alla fine, quando pensi a queste esperienze, ti dici che sono state molto importanti per diventare adulto».