Arte e tecnologia

I successi artificiali e il destino degli autori

Le attuali AI sono in grado di "assemblare" in modo sempre più verosimile brani musicali imitando gli artisti veri, anche quelli ormai scomparsi, scalando così le classifiche
Il mondo digitale si specializza sempre più nell'imitazione del reale anche in campi come la musica
Michele Castiglioni
04.01.2023 11:25

Dove sta andando la musica pop? Tra scatole cinesi di campionamenti dove vengono recuperati singoli meme musicali traendoli a loro volta da pezzi che già erano riduzioni campionate di altri pezzi dell’"era analogica" e l’attuale linguaggio ultra-minimale che sembra essere la modalità espressiva d’elezione per il mainstream di questo terzo decennio del nuovo millennio, giunge - non certo inaspettata - la notizia che su alcuni mercati (quello cinese in particolare) una fetta sempre più importante del flusso di streaming venga occupata da canzoni create da una AI. Nello specifico, Today, un brano nel quale la voce è stata creata da un’intelligenza artificiale, ha sfondato il tetto dei 100 milioni di ascolti. Facendo guadagnare all’autore oltre 350.000 dollari. E in questo caso si tratta "solo" della voce, ma esistono brani quasi interamente creati da intelligenze artificiali che entrano in classifica e competono con brani creati ed eseguiti da umani. Per dare un’idea delle dimensioni dello scenario, il gigante cinese dello streaming Tencent Music negli ultimi mesi ha creato e pubblicato oltre 1.000 brani originali nei quali la voce è stata generata artificialmente. Per non parlare delle "operazioni nostalgia" che riportano in vita artisti scomparsi ricreando il loro timbro vocale e la loro modalità espressiva ottenendo, di fatto, nuovi brani originali da gente che non c’è più. Certo, gli ultimi anni ci hanno obbligato a rafforzare lo stomaco di fronte ad operazioni di riesumazione di salme grazie ad ologrammi più o meno riusciti, sempre ai limiti del buongusto e oltre (vedasi, tra gli altri, quelli di Freddie Mercury con i Queen o gli ABBA che i live oggi li fanno in modo "virtuale"). Tacendo sui grandi vecchi che tutt’oggi riempiono stadi e palazzetti, incuranti dei loro anacronismi, ai quali si vuole bene, li si va anche a vedere con lo spirito dell’ultima occasione - pagando spesso cifre considerevoli quando non spropositate - ma che in quanto a qualità artistica solo in pochi casi hanno davvero ancora qualcosa da dire. Ma questo è un altro discorso. Di fatto, c’è una palese frattura percettiva tra le centinaia di milioni di ascolti di un brano creato da un software e il fatto che nelle stesse classifiche di ascolti e - soprattutto - nella quantità di biglietti venduti per i "live", a fare la parte del leone siano spesso ancora artisti e opere degli anni ’60-’70-’80 (e sempre più ’90). Perché? Perché pur esistendo i "campioni" dell’ultimo ventennio - tra un Ed Sheeran e una Billie Eilish, una Dua Lipa e un Bad Bunny o, per restare nei paraggi, Maneskin e "trappismi" vari - c’è la percezione che non esista l’urgenza (o la capacità) di creare una rappresentazione incisiva e resistente dell nostro tempo. Un’espressione generazionale con un diffuso spessore artistico. Per dirla in altro modo: come spiegare anche solo la possibilità che un brano - ma, alla stessa stregua, anche immagini, poesie, articoli vista la recente diffusione massiccia delle AI generative "per tutti" - creato da un’elaborazione di dati possa mettere d’accordo milioni di ascoltatori? Si possono addurre spiegazioni tecniche sul tipo di musica e di ascolto in Cina, nel caso specifico, ma alla fine rimane il fatto nudo e crudo: si coglie un disinteresse per l’unicità della creatività umana. Certo, non è un fatto nuovo, visto che la produzione in serie di singoli di successo, appetibili da quante più orecchie possibili è un fattore fondante non solo dell’industria musicale dell’ultimo secolo, ma finanche della stessa musica popolare di ogni epoca. Quello che però non è mai mancato è l’elemento di originalità che nasce dall’intuizione estemporanea, privo di una logica. Logica sulla quale si basa, costitutivamente, una macchina. Intendiamoci, non è che ora all’improvviso siamo sopraffatti dai prodotti delle AI; il 95% di ciò che vediamo, ascoltiamo, leggiamo viene fatto da persone, bene o male. Eppure, è perlomeno saggio non ignorare un fenomeno di questo tipo, visto il potenziale di diffusione. Un fattore spesso citato come determinante delle dinamiche attuali è rappresentato dalle modalità di fruizione che hanno origine dalla rivoluzione digitale: lo streaming molto spesso si riduce (in modo non differente dalla radio, beninteso) ad un ascolto episodico e decontestualizzato, distratto e a spizzichi. Non è un caso che la durata media dei brani si sia notevolmente ridotta negli ultimi anni, complici anche le dinamiche di pagamento degli streaming agli autori che premiano gli ascolti a partire dai 30 secondi. Ma questo conduce giocoforza alla superficialità nell’ascolto. E per un ascoltatore distratto, l’autore può anche non esistere. 

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