75. Festival di Cannes

Il giorno di Tom Cruise e quello di Serebrennikov

Il popolare attore statunitense e il talentuoso regista russo protagonisti della giornata sulla Croisette
Antonio Mariotti
19.05.2022 06:01

Devono essere fischiate le orecchie ieri a Tom Cruise, non tanto per i voli spericolati e ad altissima velocità che compie nel suo nuovo film, Top Gun Maverick (vedi articolo sotto) quanto piuttosto per i concerti di clacson da parte degli imbufaliti automobilisti di mezza Cannes, costretti fin dal primo pomeriggio a dover fare a meno di alcune vie di transito essenziali, bloccate dalle forze dell’ordine per garantire la sicurezza del popolare attore americano. Quest’ultimo si è concesso ai flash dei fotografi, ha tenuto un incontro «pubblico» i cui biglietti sono rimasti preclusi ai comuni mortali ed ha poi guidati la Montée des Marches verso la proiezione di gala serale.

Una donna dimenticata

Di certo meno glamour ma maggiore sostanza, per l’apertura del concorso ufficiale che ha visto scendere in lizza Le otto montagne dei registi belgi Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen e Zhen Chaikoskovo (La moglie di Ciaikovskij) dl Kirill Serebrennikov. Giustamente ammesso al Festival, al pari dei suoi connazionali che non hanno alcun rapporto con le autorità statali, il regista russo ha presentato un impressionante affresco storico, sociale e politico dedicato a un personaggio dimenticato: Antonina Miliukova, consorte del grande compositore per gli ultimi 16 anni della sua vita. Un rapporto che definire burrascoso non sarebbe sbagliato ma che in effetti fu soprattutto l’estrema lotta di una donna qualunque per avvicinarsi al «sole» del genio senza finire incenerita. Il musicista che, come si afferma nel film, preferiva i giovani uomini alle donne, la conosce per caso nell’ambiente musicale moscovita dove lei cerca di farsi strada. Antonina si innamorerà al primo sguardo e, nonostante una serie di umilianti rifiuti, non smetterà di corteggiarlo riuscendo a strappargli il consenso a sposarla approfittando delle sue passeggere difficoltà economiche e promettendogli una dote che in effetti non si concretizzerà mai. Dopo una cerimonia officiata con tutti i crismi della Chiesa ortodossa e un banchetto nuziale alquanto lugubre, la donna dovrà presto rendersi conto che il marito vive esclusivamente per la sua musica e che è attorniato da una schiera di amici che lo proteggono e allontanandola sempre più dalla sua vita. Antonina però rifiuterà sempre il divorzio e morirà nel 1917, sola e dimenticata da tutti, in un asilo psichiatrico. Serebrennikov racconta questa storia di sofferenza e di discriminazione femminile con maestria, creando un mondo animato dai contrasti tra ombre e luci, da decine di figure ignote che traversano le inquadrature esterne, mentre gli interni sono il luogo privilegiato per le scene di maggiore contenuto. Con una regia vorticosa ma precisissima e una sceneggiatura che rimane chiara nonostante i continui balzi avanti e indietro nel tempo e tra sogno (o meglio incubo) e realtà ricostruita sontuosamente, il regista non perde mai di vista il volto della sua magnifica protagonista (Alyona Mikhailova) che sembra emanare una luce eterea. Quella che invece manca del tutto al marito (ben interpretato da Odin Lund Biron). La musica, ovviamente quella di Ciaikovskij (eseguita dai migliori solisti e dalle migliori orchestre) è una presenza fondamentale dal primo all’ultimo dei 143 minuti del film, quasi che il regista abbia voluto dimostrare come dalla mente di quel genio senza cuore abbia potuto scaturire la colonna sonora ideale anche per raccontare la vita della persona che ha odiato di più in vita sua. Una delle tante scommesse vinte dal 52.enne cineasta russo, più volte condannato in patria per presunti reati economici, che - come accade nella prima e nell’ultima sequenza - si stacca completamente da una visione realistica per regalarci veri e propri momenti di magia cinematografica.

Otto montagne senza vette

Il romanzo di ispirazione autobiografica Le otto montagne, pubblicato nel 2016 da Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017 e nel giro di pochi mesi tradotto in 35 lingue, è uno dei massimi successi dell’editoria italiana degli ultimi anni. È quindi superfluo riassumerne la trama, anche perché il film che hanno tratto dal libro Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen la rispetta quasi alla lettera. Il risultato, nonostante i 147 minuti di durata, non è malvagio, anche grazie alle buone interpretazioni di Luca Marinelli (Pietro) e Alessandro Borghi (Bruno). Il tutto rimane però nel campo del cinema al puro servizio della letteratura, senza particolari guizzi creativi. E le emozioni non bucano quasi mai lo schermo. 

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