Cent'anni fa

Il Gran Consiglio e la questione della maternità

Le notizie del 2 dicembre 1923
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Nicola Bottani
Nicola Bottani
02.12.2023 06:00

La Nota
In Gran Consiglio, durante la claudicante discussione della seconda e non ultima edizione del Codice Sanitario, sono sbocciate diverse proposte; l’una per un articolo di legge che imponesse alle madri, in condizioni di farlo, di allattare i propri pargoli; un’altra per un articolo di legge che imponesse delle lezioni alle madri sul modo di fasciare i bambini. Se la sovrana rappresentanza fosse stata al completo come nelle sedute di festa (voto politico, interpellanze chiassose, discorsi spassosi) e non ridotta alla solita cinquantina di granconsiglieri come nelle monotone sedute feriali in cui si discutono cose serie e problemi gravi, sarebbero sbocciate, sul praticello vaghifiorito della discussione, altre proposte del genere e il Codice Sanitario sarebbe diventato un prontuario per l’allevamento dei bambini lattanti.

Alle buone intenzioni bisogna sempre far di cappello come alle persone rispettabili; salutiamo quindi rispettosamente, nelle proposte sull’allattamento e sulle fasciature dei bambini, le buone intenzioni degli onorevoli preopinanti della sovrana rappresentanza e passiamo, come si suol dire in gergo, all’ordine del giorno, limitandoci a sollevare una semplice obiezione. Obbligare per legge ad allattare i propri pargoli, vuol dire incaricare gli usceri comunali o i gendarmi cantonali ad andare di casa in casa per controllare a qual fonte il pargoletto attinge il proprio latte quotidiano, controllo piuttosto imbarazzante e che servirebbe a creare il corpo delle balie contrabbandiere.

Il problema della maternità è così grave, così complesso e così delicato nella sua nervatura che non lo si può risolvere con due o tre articoli di codice, nè con la mobilizzazione degli usceri comunali. Una madre, se ha veramente viscere materne, è la prima a voler alimentare il proprio bambino col proprio latte; ricorre all’allattamento mercenario solo se le condizioni fisiche, se l’ordine del medico glielo impongono; ma se la donna non ha viscere di maternità, se la procreazione per lei è stata un semplice infortunio sul lavoro onde le tarda di sbarazzarsi della creatura per rifarsi la bellezza plastica del corpo, per correre ai balli, ai teatri ed alle feste, non c’è articolo di legge che possa trasformare la femmina in una madre amorosa, che possa imporre alla femmina l’adempimento di uno dei più delicati, dei più sacri doveri della maternità. Anche in questa materia non è questione di codice, di costrizioni in forza di legge, ma questione di istinto e di educazione dell’animo.

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