“Il vero potere è poco affrontato dai nostri scrittori”

INTERVISTA A PETER VON MATT, oggi ad Ascona per gli eventi letterari del Monte Verità
"Keller è un esempio tra molti. Io stesso da cittadino mi occupo di politica e da critico studio come viene trattata in letteratura"
Tommy Cappellini
Tommy Cappellini
15.04.2016 02:05

Spiace per i lettori massmarket ma, ancorché in via di smantellamento, esiste un Canone occidentale cui far riferimento quando qualcuno tira fuori la storiella dell'«è bello ciò che piace», abbassando per la miliardesima volta l'asticella del giudizio. Il buono del germanista Peter von Matt - che sarà domani alle 18 in piazza Elvezia ad Ascona con Sibylle Berg, nell'ambito degli eventi letterari del Monte Verità - è invece questo: con lui è subito titanomachia à la Harold Bloom. Molti scrittori di cui parla in La Svizzera tra origini e progresso, infatti, sono pesi massimi. E pure quando non lo sono, il piglio con cui li sceglie e li affronta è tipico di chi cerca e pretende forma e sostanza. Meno male. In tempi di seitan letterario e tofu editoriale, per non morire di fame occorre mettere in tavola delle chateaubriand spesse e nutrienti. Abbiamo fatto due chiacchiere con l'autore.

Tra le due ugualmente famigerate categorie degli «idealizzatori» e dei «detrattori», dove si colloca, lei, tra i critici elvetici?«Non vedo questi due gruppi. Ognuno di noi dà occasionalmente giudizi negativi o positivi. Certo, c'è chi osserva con occhio critico la politica e ne parla in modo aperto e chi preferisce guardare soltanto al Buono e al Giusto. È comunque un'antica tradizione quella che vede gli scrittori svizzeri prendere posizione. Keller è un esempio tra molti. Io stesso da cittadino mi occupo di politica e da critico studio come viene trattata in letteratura».

Quali dei nostri scrittori le fanno da bussola, chi preferisce e perché?«Mi sono occupato di gran parte di loro. Non ne ho uno preferito da mettere sopra gli altri: sono tutti così diversi. Tra i giovani, apprezzo Lukas Bärfuss. Penso anche che siano troppo poco considerati Regina Ullmann e Adelheid Duvanel. Frisch e Dürrenmatt sono stati miei compagni di viaggio per una vita intera, nonostante io li abbia conosciuti tardi».

E Gotthelf? È poco tradotto e letto, per via della lingua irta, al minimo.«Lo considero uno dei più grossi narratori che la Svizzera abbia mai avuto. I suoi romanzi ruotano attorno al mondo contadino e capisco che per i lettori di oggi non sia facile. Ma è il più grande psicologo e conoscitore dell'uomo della nostra letteratura. Nessuno come lui ha avuto l'audacia di mostrare e analizzare in modo così radicale il male che risiede nelle persone. Allo stesso tempo, possiede un humour eccezionale. Non è granché frequentato in Germania, dunque viene letto ancor meno in Svizzera. Già Keller diceva che nessun autore viene riconosciuto in Svizzera tedesca se prima non diventa famoso in Germania».

E Ramuz? Simile a Fenoglio, ha uno stile inconfondibile. In italiano si trova con difficoltà, nella Pléiade è long seller.«È certo tra i romandi più importanti. Ha narrato in modo tutto suo contadini e montanari del Vallese, attraverso una lingua nuova e moderna. Fenoglio lo conosco poco per fare paragoni, ma suppongo che Ramuz fosse meno politico, sebbene con il romanzo Farinet il falsario (capolavoro pubblicato in italiano all'inizio degli '80 da Jaca Book, ormai reperibile solo in modernariato, ndr) abbia descritto positivamente la lotta per così dire "partigiana", di resistenza, contro il governo e l'autorità. In Romandia e nella Svizzera interna ha un suo seguito».

Parliamo di Walser: per tutti e per pochi.«Diventò popolare dopo la sua morte. Verso la fine degli anni '70 ci fu un vero boom mondiale dei suoi titoli, in Italia, in America... Da noi ha successo una prosa tradizionale, lui creò di contro una scrittura apparentemente semplice, raffinata e moderna. Testi che sono musica. È un caso unico e prezioso. Per l'identità svizzera è importante come esempio di poeta che vive in modo solitario ai margini della società».

Sull'oggi, che dire?«Siccome Frisch e Dürrenmatt sono diventati celebri nel mondo, molti autori trovano ancora un buon pubblico in Germania. Ne consegue, però, che trattano volentieri di temi non specificatamente svizzeri, ambientandoli in altri Paesi».

Che sarebbe meglio fare?«Secondo me avrebbero bisogno di un retroterra svizzero per poter creare opere molto forti e convincenti. Ma c'è un pericolo: che poi usino come protagonisti figure ai margini della società piuttosto che persone ricche e potenti. Politici, banchieri e grossi imprenditori sono sempre più raramente soggetti di romanzo. Questo è un deficit. Sarebbe importante che fossero descritti e analizzati da autori lucidi. Il vero potere in Svizzera è un tema troppo poco affrontato nella letteratura».