L'intervista

«La musica è l'arte più vicina all'Assoluto»

Il cantautore Angelo Branduardi sarà in concerto domenica 23 ottobre al LAC
Angelo Branduardi (72 anni). In carriera ha realizzato oltre trenta album spaziando tra pop e musica colta e antica. © Ferdinando Bassi
Mauro Rossi
17.10.2022 06:00

È uno dei cantautori italiani più amati, in patria e all’estero, per la capacità di mescolare musica antica e colta con il pop e le tradizioni del mondo intero. È Angelo Branduardi che domenica 23 ottobre torna nella Svizzera italiana per un concerto al LAC di Lugano (ore 18.00 - biglietti su www.luganolac.ch) in cui la sua sfaccettata personalità artistica avrà modo di esprimersi compiutamente visto che oltre alle canzoni più celebri del suo repertorio dedicherà ampio spazio al recente progetto Il cammino dell’anima dedicato all’opera della mistica duecentesca Hildegard von Bingen.

Partiamo proprio da questo progetto: come è arrivato alla figura di un personaggio così singolare e lontano nel tempo quale Hildegard von Bingen…
«Era un periodo in cui cercavo di scoprire se ci fossero state delle musiciste donne in epoca antica. Io pensavo al Rinascimento, al Barocco. Però quando sono piombato su Ildegarda sono quasi impazzito. Perché oltre ad essere una donna straordinaria – medico, erborista, alchimista, scienziata , che aveva fondato un ordine tutto suo dove le monache non avevano copricapo, insomma un Leonardo da Vinci in gonnella 500 anni prima – era anche una grande compositrice. A quel punto ho preso i suoi testi e la sua musica, l’ho ritoccata ed è nato Il cammino dell’anima che in realtà è musica e parole di Ildegarda di Bingen».

Questo lavoro non è il primo che fa in un ambito sacro: tutto è iniziato anni fa con un’analoga operazione dedicata a Francesco d’Assisi che, come racconta nella sua recente autobiografia Confessioni di un malandrino (ed. Baldini e Castoldi) le fu commissionato dall’ordine francescano...
«È vero quel progetto L’infinitamente piccolo non fu un’idea mia. Furono i francescani a propormela. E quando io chiesi il perché ritenessero fossi la persona giusta a prendere in mano l’opera di Francesco nonostante fossi un grande peccatore loro mi risposero “Perché il Signore sceglie sempre i peggiori”. Alla fine hanno avuto ragione loro: è stato un grande successo e anche artisticamente ritengo sia in assoluto il punto artisticamente più alto della mia carriera».

Una carriera che, ormai, si avvicina al mezzo secolo di attività e che è iniziata in un periodo molto complesso per la musica pop: gli anni Settanta, il decennio del rock del «prog» dei cantautori e della musica impegnata. Poi arrivò lei con la semplicità quasi bucolica e fiabesca de Alla fiera dell’est che scompaginò tutto: come nacque quel disco?
«Mi è venuto così: la canzone è liberamente ispirata a una canzone pasquale ebraica… Però non è un disco semplice. È complesso, ricco di raffinatezze dovute anche all’aiuto del mio alter ego, il musicista e produttore Maurizio Fabrizio. La cosa curiosa è che all’inizio nessuno credeva in quella canzone, neppure noi. Tanto che fu pubblicata su 45 giri quale facciata B di un’altra canzone, Il dono del cervo: se poi la stessa diede il titolo all’album fu unicamente perché suonava bene, era esotico. A far scattare il clic dopo mesi che il disco era uscito senza alcun riscontro, fu un carissimo amico purtroppo mancato: Paolo Giaccio, che è stato una grande figura della musica in tv. Lui ci disse “non vi rendete conto di cosa avete in mano” e decise di dedicare al disco un servizio di 20 minuti in televisione. Dopo il quale la gente ha iniziato a riconoscermi al supermercati. Ed è a quel punto che ho capito, dopo anni di gavetta, di musica, che era arrivato il successo».

Successo che poi ha replicato e amplificato con altri dischi (La pulce d’acqua, Cogli la prima mela, Branduardi ‘81, Concerto, Cercando l’oro...) che hanno un denominatore comune: molti loro brani vengono dalla tradizione popolare di vari Paesi europei e non solo. Da dove nasce l’idea di andare a pescare in quel mondo?
«Dalla voglia, dal piacere e dall’istinto. Ma anche dalla mia formazione: ho una cultura musicale classica in quanto vengo dal Conservatorio – e difatti la mia musica è piena di echi dei 10 anni di violino che ho fatto. Poi è nata la passione per la musica antica (pochi lo sanno, ma in quest’ambito ho realizzato ben otto dischi – il ciclo Futuro Antico). Però io ho agito sempre per il mio piacere, per sorprendermi. Perché solo così puoi sorprendere gli altri».

Ed è questa voglia di sorprendersi che, a un certo punto, l’ha spinta ad abbandonare una facile formula di successo, per cercare nuove strade?
«In quel periodo ero considerato una rockstar. E lo ero: ho suonato davanti a 150mila persone alla Fête de l’Humanité a Parigi su un palco disegnato apposta da Oscar Niemeyer. Però quella sera fu per me un punto di non ritorno perché ero stravolto e ho capito che avevo fatto la rockstar a sufficienza. È stato bellissimo, è durato anni ma ho capito che quella non era più la mia “tazza di thé”. Per cui ho chiuso un capitolo e ne ho aperto un altro – quello di dischi più complessi e sperimentali, ma anche il ciclo di Futuro Antico fino alle cose più recenti –e sono felicissimo di averlo fatto».

Si tratta di lavori che se difettano un po’ di quello spirito «commerciale» dei dischi più famosi, non mancano di quell’alone di spiritualità che ha sempre avvolto le sue produzioni e che è addirittura aumentato. A proposito, lei è credente?
«È una domanda molto complicata alla quale non è facile rispondere: anche perché è una questione intima. Comunque sì, c’è sempre della spiritualità nei miei lavori. Anche perché, come diceva Ennio Morricone, “essendo la musica l’arte più astratta, è la più vicina all’Assoluto”. E per Assoluto si può intendere Dio o qualsiasi altra cosa alta. Ecco, è in questo senso che la musica è un qualcosa di spirituale. Ma nel contempo è anche qualcosa che ha a che fare con il corpo perché è abbinata alla danza. Dall’inizio della musica e quindi anche dell’uomo l’uomo ha infatti sempre fatto musica e ha sempre danzato. E questo fatto di mettere d’accordo l’elemento spirituale e quello materiale, il diavolo e l’acqua santa, è la grande caratteristica e la grande bellezza della musica».

Musica della quale lei è definito uno dei maggiori «menestrelli» contemporanei. Però so che questo appellativo non le piace troppo: preferirebbe essere definito un «trovatore». Perché?
«Perché il menestrello faceva anche il buffone di corte, il trovatore no. C’è una frase di un anonimo trovatore tedesco dell’Anno Mille che dice “io sono il trovatore, sempre vado per molti paesi e città, ora sono giunto fin qui, lasciate che prima di partirne io canti”. Ed è quello che io ho fatto per decenni e decenni e che spero di continuare ancora a lungo: dopo essere stato fermo tre anni a causa della pandemia ho una grande voglia di tornare a suonare davanti alla gente. Il professor Cassano, il principe degli psichiatri italiani, sostiene che il miglior antidepressivo è l’applauso della folla. E siccome purtroppo ho sofferto anche di quello - come racconto anche nella mia autobiografia – voglio continuare a curarmi».

Da giovane talento del violino a rockstar

Nato nel 1950 a Cuggiono (Milano), piccolo centro del Parco del Ticino e cresciuto a Genova, Angelo Branduardi inizia la sua attività diplomandosi a 16 anni in violino al Conservatorio del capoluogo ligure. Trasferitosi a Milano al violino affianca la chitarra e inizia a frequentare l’ambiente pop-cantautorale. L’esordio discografico è del 1974 (anche se l’anno prima aveva registrato un album che la sua casa discografica non pubblicò in quanto ritenuto non commerciabile sebbene contenesse una delle sue canzoni più celebri, Confessioni di un malandrino) ma il successo arriva nel 1976 con Alla fiera dell’est. Un successo replicato negli anni seguenti con La pulce d’acqua, Cogli la prima mela, Branduardi '81 e Cercando l’oro che grazie alla loro originale commistione tra pop, folk europeo e musica medievale-rinascimentale conquistano l’Europa. A metà degli anni ‘80 la svolta verso un genere più ricercato e sperimentale che però non tradisce le sue origini folk e antiche. Alla musica antica «classica» Branduardi ha poi dedicato gli otto CD di Futuro Antico, L’infinitamente piccolo (album dedicato a san Francesco d’Assisi realizzato in occasione del Giubileo del 2000) nonché il recente Il cammino dell’anima, sull’opera di Hildegard von Bingen e che sarà al centro del suo concerto di domenica a Lugano. Negli ultimi mesi Branduardi ha dato alle stampe l’autobiografia, Confessioni di un malandrino, edita da Baldini e Castoldi.