Le storie “Off” di un evento straordinario
È ormai una «lunga storia», quella di Locarno. Una storia che «quasi fa dimenticare la fretta con cui il Festival nacque all’improvviso, dopo che la città di Lugano, attraverso un voto popolare, il 2 giugno 1946, mise fine a una sua rassegna internazionale del film che aveva avuto luogo per due anni». La bocciatura del «progetto di un anfiteatro per le proiezioni all’interno del Parco Ciani» fu «la molla che spinse dodici personalità ticinesi, capeggiate dall’avvocato Camillo Beretta, al grande passo».
Una scelta straordinariamente felice. E lungimirante. Se tre quarti di secolo dopo, Locarno è uno dei grandi appuntamenti del cinema europeo e mondiale. Scenario perfetto (e unico) per la settima arte.
Lorenzo Buccella, giornalista, critico cinematografico e scrittore, già caporedattore della rivista e del sito ufficiali del Festival, ha riassunto i passi salienti di quella lunga storia in un libro uscito in questi giorni per i tipi di Casagrande. «Due cose, in particolare, mi interessava fare - dice Buccella al CdT - riannodare i fili di ciò che è accaduto alla luce del sole, la storia “On” di Locarno, con i suoi alti e bassi; e poi, portare in superficie la parte “Off”, il dietro le quinte, la grana dell’evento. Rivelare, insomma, aneddoti e curiosità relativi ai grandi nomi che sono transitati dal Festival».
Scorrendo le pagine di Buccella si scopre così che, sfruttando la sua caratteristica di manifestazione «grande tra le piccole e piccola tra le grandi», Locarno è stata capace di scelte coraggiose e di straordinarie innovazioni. «Prima di far scoprire a tanti il cinema Est asiatico, iraniano e cinese, il Festival ebbe ad esempio il coraggio di promuovere i film d’oltre cortina nel periodo della guerra fredda - racconta ancora Buccella - per quanto la programmazione fosse talvolta in orari poco accessibili, tanto che si parlava di “fuso orario comunista”. Non solo: pochi lo ricordano, ma la retrospettiva è un’invenzione locarnese, poi copiata da tutti. Dagli schermi ticinesi passò anche la prima importante riflessione teorica sul neorealismo italiano, che pure sulle rive del Verbano non riscosse il successo atteso: Roma città aperta, presentato in concorso, non vinse, mentre Ladri di biciclette ottenne soltanto un riconoscimento minore».
E poi c’è la piazza. Idea lanciata nel 1971 da Livio Vacchini. «Allora sembrò una boutade - dice Buccella - ma Raimondo Rezzonico capì subito quanto potesse essere importante. E a posteriori possiamo dire che quella decisione è stata la salvezza del Festival, la radice dell’evento che conosciamo oggi».
Va detto: il libro di Buccella, anche per la scelta degli sguardi brevi sui singoli episodi, si legge d’un fiato. Soprattutto nella parte “Off”. Affollata di grandi personalità: da Marlene Dietrich a Michelangelo Antonioni, da Friedrich Dürrenmatt a Umberto Eco, da Rainer Werner Fassbinder a Pier Paolo Pasolini il quale, parlando in piazza Grande, definì provocatoriamente i ticinesi «una strana razza di italiani, zurighesi che parlano perfettamente l’italiano». Curiosamente, molti anni dopo, nel 1993, Helmut Kohl confessò in sala stampa a Locarno: «La Svizzera è sempre stata una realtà complessa e difficile da capire nelle sue peculiarità, finché oggi una vostra autorità non me lo ha spiegato così, attraverso un esempio sportivo. Quando c’è la partita di calcio Germania-Italia, gli svizzero-tedeschi tifano tutti per l’Italia, mentre gli svizzero-italiani tifano tutti per la Germania».