Narrativa

Fabio Andina, andata e ritorno nell’inferno di un padre separato

Dopo il successo internazionale de «La pozza del Felice» l’editore Rubbettino ripubblica «Uscirne fuori», il romanzo d’esordio dello scrittore ticinese che, con il linguaggio della «beat generation», parla di un dramma sociale spesso sottostimato
Fabio Andina (50 anni) è originario del Malcantone ma vive e lavora in Valle di Blenio. © KEYSTONE
Mauro Rossi
07.06.2022 06:00

Fabio Andina è lo scrittore ticinese del momento. Il suo romanzo La pozza del Felice, pubblicato nel 2018, oltre ad aver conquistato una serie di importanti riconoscimenti (tra cui il Premio Terra Nova della Fondazione Schiller e il Premio Gambrinus Giuseppe Mazzotti nella sezione Montagna) è stato tradotto in tedesco, francese e spagnolo superando le 100 mila copie vendute. Un romanzo poi seguito da due volumi di racconti, Sei tu, Ticino? e Tessiner Horizonte, Momenti ticinesi (quest’ultimo impreziosito da una serie di schizzi dell’illustratore Lorenzo Custer) che hanno consolidato il suo prestigio, soprattutto oltre Gottardo, tanto da spingere il suo dinamico editore, Rubbettino, a ripubblicare, in versione riveduta, quello che fu, nel 2016, l’esordio letterario per i tipi della luganese ADV Publishing dell’autore di Madonna del Piano: Uscirne fuori. Si tratta di un romanzo nel quale Andina affronta un tema scottante e di grande attualità: un burrascoso divorzio visto dalla parte del maschio con tutte le problematiche che ne conseguono dal punto di vista emotivo, psicologico ma anche economico e sociale. Che nel caso del protagonista si traducono nel ritrovarsi praticamente in mezzo ad una strada, senza soldi, privo di un’occupazione stabile, confrontato con una dipendenza da alcol e psicofarmaci e per di più impossibilitato a coltivare un rapporto stabile e regolare con il figlioletto affidato alla madre nonostante la sua manifesta incapacità di occuparsene. Il risultato è lo sprofondamento in una spirale negativa dalla quale il nostro uscirà con estrema difficoltà dopo essersi rifugiato in una baita di montagna ereditata dai genitori e un tempo usata quale casa di vacanza e aver ricominciato a camminare. Sarà infatti questo ritrovato contatto con la natura, con lo sforzo fisico unito alla determinazione a svolgere al meglio il suo ruolo di padre, a condurlo fuori dalle sabbie mobili e a fargli ritrovare un proprio personalissimo ancorché fragile equilibrio. Scritto come se si trattasse di quotidiane annotazioni – alcune brevissime, altre più articolate – registrate di getto su un diario, senza badare troppo alla forma ma cercando di catturare l’umore e le sensazioni del momento, Uscirne fuori, al di là di alcune pecche nella narrazione tipiche di molte opere prime (ben articolato l’abbrivio, un po’ affrettato il finale, quasi fossero finite le pagine a disposizione), ha in sé alcuni tutti gli elementi che hanno fatto apprezzare Andina anche fuori dai confini locali: una abilità cinematografica nella descrizione delle varie situazioni, anche le più convulse, in cui ritrova invischiato il protagonista; un forte legame con la natura nella quale Andina individua la soluzione per sfuggire a quello che una vecchia pubblicità definiva «il logorio della vita moderna» ma soprattutto uno strettissimo legame con quella scrittura istintiva, torrenziale, a tratti quasi schizofrenica, fatta di frasi interminabili, poca punteggiatura e un linguaggio più parlato che scritto, tipica di quella «beat generation» alla cui fonte il nostro si è a lungo abbeverato soprattutto durante gli anni della sua formazione a San Francisco e che in tutti i suoi scritti ripropone adattandola con abilità alla realtà di una Svizzera italiana in bilico tra uno smisurato desiderio di affrancarsi dalla sua dimensione provinciale e una radicata e a tratti chiusa mentalità di matrice contadina. Un romanzo di non facile lettura ma intenso e profondo, soprattutto per la sua tematica di fondo – i padri separati, appunto – che Andina affronta in maniera diretta senza rinunciare a focalizzare l’attenzione su una serie di storture alle quali, purtroppo, non sembra esserci la volontà di porre rimedio nonostante i drammi che finiscono per provocare. Di fronte ai quali chi si ritrova invischiato spesso non ha, al contrario del protagonista del romanzo, la forza e la tenacia di uscirne fuori.