L'intervista

«Nel mio libro non solo marinai: emozioni che chiunque può vivere»

Il luganese Luca Jaeggli ha recentemente pubblicato il suo ultimo romanzo: "L'isola" — Con l'autore abbiamo discusso delle origini del libro: «Nato dalle mie esperienze sulle isole bretoni»
Sara Fantoni
17.08.2022 14:00

Immaginiamo l'avvicinarsi di una tempesta. Ascoltiamo le acque abbattersi con violenza sulle coste rocciose. Dall’alto del faro che governa il luogo, osserviamo affascinati l’impetuosità del mare. Ci troviamo su un’isola bretone: Morlaer, un rifugio per i naufraghi dispersi fra le crudeli onde.

È questo lo sfondo del nuovo romanzo del luganese Luca Jaeggli: L’isola, ispirato alla reale Ouessant e alla sua gente. L’autore permette ai suoi lettori di immergersi in un mondo selvaggio, i cui protagonisti sono marinai e abitanti dell’isola, da sempre abituati ad uno stile di vita molto diverso dal nostro. È stata l’esperienza sul posto come regista del documentario realizzato per Televisione Svizzera nel 1995 a ispirare Jaeggli, che ci dà la possibilità di osservare questa realtà con le lenti di chi, per un periodo, ne ha preso parte.

Dall'esperienza

L’isola è il terzo romanzo di Luca Jaeggli. Segue Quando i gabbiani volano verso terra e Bernard Contì torna a Parigi, pubblicati rispettivamente nel 2020 e nel 2021. Una caratteristica che differenzia quest’ultimo dai precedenti, però, è da sottolineare. «Questo non è un romanzo di fantasia come gli altri. L’isola fa riferimento alla mia esperienza. L’ho ripresa e rimodellata liberamente, ma il libro parte da lì».

Varie storie s’intrecciano a Morlaer, che in bretone significa «pirati». «Ho scelto questa denominazione per via della storia della zona. Nell'Ottocento la gente viveva in miseria. Per questo, così come in Inghilterra e in Scozia, gli isolani attiravano le imbarcazioni verso gli scogli per poi depredarle. Era una forma di pirateria. Ma ora succede il contrario: Ouessant è un luogo di soccorso», spiega Jaeggli al CdT. Infatti, è questo il posto in cui venne costruita una delle primissime stazioni di salvataggio francesi. «Selvaggia; quando vi sono stato io, fuori stagione, ancora di più». Così Jaeggli descrive l’isola dei pirati. «Le persone sono ancora più toste dei normali bretoni, forse perché la maggior parte sono marinai con esperienza del mondo. Inoltre, la natura molto dura e la povertà hanno sicuramente contribuito a forgiare il loro carattere». L’autore rivela di essere stato molto colpito dalla loro autenticità: «È qualcosa che mi ha fatto commuovere. Io ho conosciuto da vicino la squadra di salvataggio. Sono marinai in pensione, gente molto aperta e coraggiosa» continua Jaeggli. «Li ho visti in azione e ho potuto parlare con loro. È gente che accetta di rischiare la vita e ne è consapevole. Loro stessi mi hanno raccontato di falsi allarmi che hanno portato l’intera squadra a perdere la vita. Sono situazioni che possono capitare in simili circostanze e nel libro riprendo tutto questo.»

Mare e tempesta

Il romanzo, però, va oltre le situazioni che descrive. Infatti, il libro non è solo azione, ma anche emozione. «C’è sempre qualcosa di autobiografico. Parlo di quello che ho sentito e vissuto. Se parlo di mare è perché è qualcosa che mi ha sempre preso. La tempesta ha un fascino particolare, ti entra dentro. È la forza del mare che ti spinge a volerlo guardare per ore». Sono queste la trepidazione e la consapevolezza che pervadono alcuni personaggi, come Paul: marinaio sul battello di salvataggio e farista dell’isola. Le sensazioni che esprime osservando l’acqua in tempesta descrivono molto bene l’idea trasmessa dal suo ideatore: Si sentiva piccolissimo, quasi inesistente, mentre il suo spirito si fondeva con quella natura potente. Adesso sapeva perché era venuto in quel posto…

Immagini molto evocative, quelle appena menzionate, che si rifanno all’esperienza dell’autore come fotografo, regista e produttore. «A livello di drammaturgia fare un documentario, un filmato o un libro non è così diverso. Soprattutto quello che ho imparato a livello di montaggio, di suspense e di rapidità cerco di riportarlo anche nei miei libri. Alcuni mi hanno persino rimproverato di essere troppo veloce nelle scene che metto in atto. Sicuramente questo è un retaggio dovuto alle mie diverse occupazioni nell’ambito multimediale e a una mia naturale propensione».

Da quando, nel 1995, Jaeggli ha prodotto il suo documentario non ha più visitato l’isola, si augura però di riuscire a ritornare nel luogo che ha ospitato la sua immaginazione e i suoi ricordi per la produzione di questo libro. «Sono stato su molte isole. Hanno tutte delle caratteristiche comuni che credo rimangano quasi invariate nel tempo. Le persone sono tutte molto legate alla natura, abituate alla solitudine e alla vita comunitaria. Sono molto diversi da noi, ma hanno le caratteristiche umane che possediamo tutti, nel bene e nel male. Nel mio libro, infatti, non parlo solo di marinai; chiunque può identificarsi nelle vicende di cui scrivo perché ciò di cui parlo riguarda quello che ognuno può sperimentare».

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