La ricorrenza

Quel fottuto capolavoro di nome Trainspotting

Trent'anni fa usciva il libro cult di Irvine Welsh sbattendoci in faccia i problemi della Scozia – L'autore: «Era un'epoca diversa, una vita diversa» - Ecco come sta, oggi, il Paese di William Wallace
© CdT/Chiara Zocchetti
Alan Del Don
06.07.2023 15:05

Inevitabile. Prima o poi dovrà esserci anche il suo nome, al Writers Museum di Edimburgo, fra gli scrittori più importanti di Scozia. Accanto a Burns e Scott chiediamo a gran voce la presenza di Irvine Welsh, il «padre» di quel Trainspotting che proprio oggi soffia sulle 30 candeline. Tre decenni fa il cupo, ruvido, micidiale libro scosse il Regno Unito prima. Ed il mondo in seguito. Rents, Spud, Franco e Sick Boy - questi i soprannomi dei personaggi inventati dalla sagace penna del maestro di Leith, distretto della capitale noto perlopiù per il porto e per ospitare il Royal Yacht Britannia sul quale la Royal family si godeva le vacanze - avevano toccato il fondo e ancora scavavano. Droga e alcol. Vite alla deriva. Misere. Squallide. Ma non per questo meno cariche di emozioni, pathos, amore.

Piaga sociale

Erano gli anni Ottanta. Edimburgo e le principali città scozzesi invase - davvero, non per finzione - dall’eroina. Una piaga sociale, frutto della deindustrializzazione di alcune delle aree più povere. Marginali. Dimenticate. Da chi ci viveva, persino, figuriamoci dai politici che le decisioni le prendono tuttora in fondo al Royal Mile. Una situazione disastrosa che per decenni ha fatto (e ancora fa, purtroppo) del Paese quello in Europa con il numero più alto di persone decedute a causa della droga. Certo, il libro ed i film in seguito (soprattutto il primo: il secondo, diciamolo, non era per niente all’altezza) non hanno aiutato la nazione a rifarsi un nome.

Ma d’altronde, cavolo, uno scrittore, un regista, un artista non deve mica nasconderci come stanno veramente le cose. Un pregio di Trainspotting è stato quello di averci sbattuto in faccia - e che male ci ha procurato - un gruppo di amici sbandati. E di loro amici, se possibile, ancora peggiori, come Secondo Premio e Venters. Tutti dipendenti da qualcosa. Ma nel contempo tutti disperatamente alla ricerca di una via d’uscita. «Ci facciamo venire un sacco di idee del ca..o, tanti modi diversi di vedere la realtà della nostra vita, ma senza mai veramente capire un ca..o delle cose che contano, delle cose importanti», dice uno di loro ad un certo punto.

Vita durissima

La vita. Quanto era fottutamente dura in Scozia. Lo è ancora. Lo abbiamo visto con i nostri occhi. A Edimburgo, sì, con le vie della New Town, quelle dei pub, dove i senzatetto vendono vecchi DVD in cambio di poche sterline. O, ancora, si accampano la notte lungo il Waverley Bridge e li ritrovi la mattina - addormentati mentre gli abitanti vanno al lavoro e i turisti si dirigono al Princes Street Gardens o al castello - con accanto una pinta e una fetta di pizza oramai immangiabile. A Glasgow non è meglio. Peggio, decisamente peggio, al sud. Dumfries, ad esempio, al calar della notte, è spettrale. Saracinesche abbassate. Negozi e bar chiusi da anni. Sporcizia. È l’effetto della generazione Trainspotting, come l’hanno definita? Non siamo sociologi, lasciamo giudicare gli altri. Quello che sappiamo è che della Scozia non ci si può non innamorare. «Crediamo sempre e soltanto a quello che vogliamo credere», alla fine, vero. Verissimo.

Voglia di indipendenza

Ad un certo punto si è cercato di rafforzare l’apprendistato per ridurre il tasso di disoccupazione. Nel 2016 il 62% degli scozzesi votò contro la Brexit. C’è chi vuole l’indipendenza. Chi si batteva per un nuovo referendum - l’ex premier Nicola Sturgeon - si è dimessa ad inizio anno e poi è rimasta invischiata nei problemi del marito. L’amore che gli scozzesi nutrono per il proprio Paese è viscerale. Li vedi girare per Edimburgo con le maglie della nazionale di calcio e di rugby. Vanno a scuola. A fare la spesa alla Tesco. La domenica nei centri commerciali. Quell’orgoglio fa dimenticare loro le sofferenze. L’eroe è quel William Wallace (sì, Braveheart) che sulla piana del fiume Forth sconfisse gli inglesi in una battaglia epica. Sognano di tornare nell’Unione europea. Nonostante tutto e tutti. «Appartengo alla generazione che otterrà l’indipendenza di cui la Scozia ha più bisogno che mai», è stata la prima promessa fatta dal premier Humza Yousaf, musulmano e figlio di immigrati.

Un’altra generazione

La sua non è più la generazione Trainspotting. «Forse dovrei dire che sembra ieri. No. La verità è che sembra secoli fa, non solo un’epoca diversa, ma una vita diversa vissuta da un’altra persona», ha scritto stamattina sui social Irvine Welsh, (auto)celebrando i 30 anni del suo capolavoro. Non aggiungiamo altro. Il Maestro - quello che, nel 2019, nell’ambito del festival di letteratura e traduzione Babel, ci fece addirittura ballare all’ex convento di Monte Carasso - è lui. E grazie al suo esempio si stanno affermando altri interessanti autori scozzesi, come Alan Parks, Graeme Armstrong, Andrew O’Hagan. Voci di una nuova Scozia. Comunque sempre un po’ inca..ata col resto del mondo. Fottutamente.