La posta di Carlo Silini

Ma davvero è tutta colpa del Sessantotto?

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Carlo Silini
03.09.2022 06:00

Il caso dello scolaro visto in classe a procurarsi delle ferite al braccio con una lametta, volendo egli segnalare il suo stato esistenziale, è componente della società in cui viviamo, le cui origini risalgono a dopo la seconda metà del secolo trascorso. Propongo un appropriato riferimento contenuto nell’introduzione di un’opera saggistica contenente pensieri su quarant’anni di conformismo di massa. Lo scritto recita: «Il ’68 è al potere e vigila su di noi. L’onda lunga e corrosiva del ’68, l’ultima febbre che attraversò le giovani generazioni in Occidente, pervade ancora la nostra epoca. I rivoluzionari di allora e i loro continuatori sono divenuti la nuova classe dominante nel mondo della cultura e della politica, dei media e dell’istruzione, del sindacato e della magistratura, e primeggiano nel regno del divertimento e della pubblicità. Fallito come rivoluzione politica, il ’68 si è mutato in ideologia radical, conformismo di massa e canone di vita. Ha distrutto i valori della tradizione, dell’educazione, della religione, mandando in frantumi scuola e famiglia e lasciandoci in eredità una ideologia libertina e permissiva sul piano dei valori e dei doveri, dei costumi e dei linguaggi, ma intollerante e repressiva verso chi non si riconosce in quel movimento libertario, nei suoi codici e modelli» (Marcello Veneziani, Rovesciare il '68. Pensieri contromano su quarant'anni di conformismo di massa, ed. Mondadori). A lei e al lettore le proprie riflessioni in merito.

Gian Porzorama, Lugano

La risposta

Caro Gian Porzorama, fatico a trovare un collegamento tra l’episodio del ragazzo autolesionista e l’eredità «morale» del Sessantotto. L’autolesionismo adolescenziale esiste da sempre e dipende molto più da condizioni sociali e psichiche particolari (relazioni familiari disfunzionali, isolamento, eccetera) che non culturali (influenza nefasta del Sessantotto, in questo caso). Apprezzo invece, anche se a volte non condivido, le analisi di Marcello Veneziani. È un uomo colto e intelligente e le sue posizioni mi inducono quasi sempre ad attenta riflessione. Credo che abbia ragione, per esempio, quando sostiene che il ’68 sia fallito come rivoluzione politica anche se permane, nei movimenti di protesta dal basso (penso ad esempio all’onda verde giovanile), un qualcosa di sessantottino nella diffidenza istintiva nei confronti dell’istituzione. Il Sessantotto ha senz’altro avuto i suoi torti, in particolare alcune derive nefaste, come il terrorismo ideologico e lo sdoganamento della società dello sballo. Ma ha contribuito (non da solo, basti pensare in ambito ecclesiale al Concilio Vaticano II e in ambito civile alla nuova consapevolezza pacifista di fronte allo sfacelo della guerra in Vietnam) a rimettere in discussione alcuni meccanismi e principi che meritavano di essere abbattuti o almeno ampiamente rimaneggiati. Pensiamo, ad esempio, al cambio di paradigma nel mondo della scuola, all’abbattimento della cappa delle gerarchie ottuse, alla valorizzazione della creatività e della diversità. Se oggi i ragazzi vanno a scuola in classi miste e tutti possono godere di diritti per i quali non hanno dovuto lottare, una parte del merito è del ’68.