Cannes

Marco Bellocchio e il bimbo ebreo sottratto dalla Chiesa alla sua famiglia

Ispirandosi al libro di Daniele Scalise, l’84.enne regista piacentino firma il suo nuovo film Rapito, visto ieri in concorso – Un drammatico affresco storico ottocentesco all’interno del quale i destini personali e le dinamiche politiche e religiose s’intrecciano alla perfezione
© keystone (GUILLAUME HORCAJUELO)
Antonio Mariotti
24.05.2023 06:43

Primo dei tre titoli italiani in concorso quest’anno a Cannes, Rapito dell’84.enne regista piacentino Marco Bellocchio non ha deluso le attese della vigilia. Con alle spalle una carriera quasi sessantennale (debuttò al Festival di Locarno del 1965 con I pugni in tasca), Bellocchio - a parte qualche sbandamento nel corso degli anni Ottanta - ha sempre portato avanti con coerenza un discorso politico (ma mai ideologico) chiaro che gli ha permesso ad esempio di affrontare con la dovuta profondità un tema scabroso come il rapimento di Aldo Moro(Buongiorno, notte del 2003). Nessun dubbio neppure sul suo radicato anticlericalismo, già dimostrato nel 1972 con In nome del padre. Due dimensioni della sua opera che si ritrovano ora riunite nel suo nuovo lungometraggio, liberamente ispirato al libro Il caso Mortara di Daniele Scalise (Mondadori). Protagonista di questo affresco storico, che evita accuratamente di cadere nella trappola del raffinato film in costume o del kolossal rabberciato, è Edgardo Mortara che, una sera del giugno 1858 a Bologna, viene prelevato dalla propria famiglia dalle forze dell’ordine, condotto in un convento e subito dopo a Roma, per ordine dell’Inquisizione. Il motivo? Figlio di una numerosa, benestante e tranquilla famiglia ebrea, il piccolo Edgardo sarebbe stato battezzato di nascosto da una domestica cattolica che lo credeva in punto di morte. Quell’atto - giunto per caso alle orecchie dell’inquisitore è considerato irreversibile: il bambino è cristiano e la sua anima va quindi salvata. Ergo, non può più vivere con i genitori, i fratelli e le sorelle.

Contesto storico travagliato

Un trauma che segnerà la vita di Edgardo e dei suoi cari, ma che va inserito in un contesto storico ben preciso. Il trono di Pio IX, il «papa-re», è ormai traballante: venti di libertà soffiano un po’ ovunque in Europa, ma il pontefice - quale atto di estrema resistenza di un potere sempre più logoro e quindi sempre più autoritario - non si rassegna e, celandosi dietro il «Non possumus» del suo magistero, non transige. Anzi, il piccolo Edgardo diverrà la sua preda prediletta e per il bambino questo Papa che lo affascina, così come i rituali della Chiesa e la figura stessa del Cristo, diverrà un secondo padre che, come sacerdote e «soldato di Cristo», difenderà fino alla fine. Edgardo Mortara morirà prete, all’età di 90 anni, dopo una vita pia, durante la quale non proverà però più la felicità dei suoi primi sei anni senza mai rinunciare all’impossibile riconciliazione tra i suoi due mondi. Cercherà addirittura di battezzare di nascosto la madre morente.

Equilibrio e chiarezza narrativa

Marco Bellocchio, coadiuvato da un folto stuolo di sceneggiatori, racconta questa vicenda con rara maestria e un senso del dramma che sa unire con perfetto equilibrio una serie di destini personali con una tela di fondo che include alcuni dei momenti- chiave della nascita dello Stato italiano ( la conquista di Bologna, quella di Roma, la morte di Pio IX). Poche ma riuscite le scene di massa, grande cura per le sequenze che fanno riferimento ai riti delle due religioni, i cui rapporti di forza nello Stato pontificio sono irremovibili. Come dimostra la scena in cui il capo della comunità ebraica di Roma è costretto a prostrarsi ai piedi del Papa per evitare che le porte del Ghetto vengano chiuse dal tramonto all’alba. Rapito è una prova di grande maturità da parte di un regista che sa far recitare gli attori senza farne delle macchiette ottocentesche: su tutti il Pio IX di Paolo Pietrobon, ma anche Enea Sala e Leonardo Maltese che interpretano Edgardo bambino e adulto. Bellocchio ha già trattato in altri film tutti i temi di Rapito (il potere, la rivolta, la religione, l’ingiustizia, il rapimento) e qui riesce ad accostarli alla perfezione dando vita ad un mosaico affascinante, intelligente e senza una tessera fuori posto. A 84 anni non ha mai vinto la Palma d’oro? Non è mai troppo tardi.

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