Piazza grande

«Mi piace il cinema americano all’europea»

L’intervista al regista italiano Ferdinando Cito Filomarino che ha diretto il film d’apertura di Locarno74
©KEYSTONE/Urs Flueeler
Giovanni Valerio
05.08.2021 06:00

Anche se il maltempo non ha permesso una serata come la si aspettava da quasi due anni in Piazza Grande, la giornata inaugurale di Locarno 74 ha lasciato il segno con il premio assegnato a Laetitia Casta, la presenza dell’OSI e anche il film d’apertura; Beckett del regista italiano Ferdinando Cito Filomarino.

«Sono contentissimo di essere di nuovo qui... con meno capelli ma con un altro film!». Ferdinando Cito Filomarino, il regista di Beckett, film d’apertura di Piazza Grande, era già stato a Locarno nel 2010 per il suo cortometraggio d’esordio, Diarchia, premiato nella sezione Pardi di Domani. E ora è torna con un film d’azione che arriverà su Netflix tra una decina di giorni.

«Essere sulla Piazza, in un festival cinefilo come Locarno, mi sembrava ideale. Sono un amante del cinema, ma anche sulle piattaforme non stiamo perdendo qualcosa. La televisione, le videocassette o il dvd, non hanno cancellato l’esperienza di andare al cinema, così come non abbiamo smesso di stampare libri o di andare a teatro. In questo modo, vengono realizzati più fim e questo è importante».

Dopo un film intimo, dal piccolo budget, come Antonia, dedicato alla poco nota poetessa italiana Antonia Pozzi, Ferdinando Cito Filomarino si è ritrovato a dirigere un lungometraggio d’azione girato in Grecia con una troupe internazionale. «Da appassionato di cinema - racconta - da ragazzo amavo questo genere di film, come I tre giorni del condor o Missing di Costa-Gavras: il thriller di caccia all’uomo con un background politico. Mi piace esplorare diversi generi, perché in ogni caso la prospettiva è la stessa. Al centro c’è sempre un personaggio: quello che conta è l’angolo con cui ti approcci al genere».

Tra i produttori di Beckett c’è Luca Guadagnino, il regista di Chiamami con il tuo nome. «Conosco Luca dai tempi di Io sono l’amore, di cui ho fatto l’assistente alla regia perché lui cercava qualcuno di Milano e io conoscevo bene la città», ricorda ancora Filomarino. «Grazie a lui è stato realizzato Diarchia, il mio corto premiato qui a Locarno: gli era piaciuta la storia semplice, di tre personaggi in una stanza e mi aveva permesso di avere come interpreti Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher. Indubbiamente, per Beckett il nome di Guadagnino ha dato forza produttiva al film, anche se il budget è piccolo per gli standard hollywoodiani. L’equilibrio è stato raggiunto con una certa creatività nella produzione: ad esempio, gli stuntman venivano dalla Bulgaria... Si tratta di una produzione europea, se si esclude una piccola parte dal Brasile. Ma, in fondo, il cinema è una nazione a se stante! Io adoro il cinema, tutto il cinema, i registi americani, quelli di Hong Kong come Wong-Kar Wai di In the mood for Love o Johnnie To, quelli italiani... E non vedo contrapposizione tra cinema più intimo e action movie. Anzi, Beckett è la crasi, la fusione, tra queste due concezioni. Mi ispiro sì a un genere che è diventato americano (ma non esclusivamente) ma con uno sguardo europeo. Per me è stato interessante lavorare con un giovane sceneggiatore americano e confrontarmi con lui. La storia di Beckett è ispirata ai film della paranoia, quelli nati negli Anni 70 a causa di eventi di quell’epoca, come il Watergate o i Pentagon Papers, ma non ci sono riferimenti verso l’America di oggi. Credo invece che un sentimento simile, di sfiducia verso l’establishment, si senta nell’aria un po’ ovunque nel mondo, e non solo verso gli Stati Uniti. Abbiamo quindi scelto di girare in Grecia, un luogo stupendo di cui al cinema si vede di solito il sole e il mare. Invece abbiamo scelto location insolite, come le montagne. E poi c’era la situazione politica, in quanto il film si colloca qualche tempo fa, quando c’erano le manifestazioni di piazza contro l’austerity».

Proteste di cui non sapeva nulla l’interprete principale del film, John David Washington, diventato famosissimo lo scorso anno per aver interpretato Tenet, dopo gli applausi e i premi per BlacKkKlansman, presentato a Cannes nel 2018. «Davvero, non sapevo nulla prima di interpretare il personaggio di Beckett», ammette candido nell’intervista locarnese questo ragazzone sorridente, figlio di Denzel Washington, con i muscoli da sportivo professionista (ha giocato per anni nel campionato di football). «Ho dovuto però smettere di fare esercizio per entrare nel ruolo (e gustarmi qualche cenetta!). Nella costruzione del personaggio, l’idea era quella di non avere un super-eroe, ma una persona normale, qualcuno che aveva fatto sport da giovane ma non più ma è comunque in forma. Ho accettato di interpretare questo film (prima ancora di Tenet: anzi mi hanno chiamato a metà delle riprese) perché mi ha appassionato la sfida del personaggio che evolve, si sviluppa, scopre cose, diventa potente. Proprio come nello sport, si tratta di mentalità animale: combatti per sopravvivere. Come ho sempre fatto, per la mia indipendenza come uomo, come giocatore di football, come John David Washington. Questo personaggio parlava a me personalmente, direttamente». Poi c’è stata la parte fisica, con numerosissime scene d’azione, tutte (o quasi) interpretate dallo stesso Washington, tranne i balzi più eclatanti, realizzati da stuntman. «Quello che ho amato è l’evoluzione del personaggio, che alla fine è capace di fare cose straordinarie. E non mi sembra irreale. Anzi. Ho sentito che ieri negli Stati Uniti un uomo si è arrampicato su un palazzo per salvare sua madre. Era una persona normale ed è accaduto. Lo stesso per Beckett».

A Locarno, infine, c’era anche la lussemburghese Vicky Krieps, che aveva illuminato lo schermo con il suo volto accanto a Daniel-Day Lewis ne Il filo nascosto, e che sarà la protagonista del prossimo Old di Shyamalan. All’ultimo festival di Cannes con due film si è fatto anche il suo nome tra le premiate. Insomma, una quasi-diva che però non se la tira e non si sente tale. E che aveva studiato recitazione alla nostra Zürcher Hochschule der Künste. «Ho scelto Zurigo per il lago e la natura, per preservare me stessa, come sono, camminando in montagna e nuotando nel lago. Ho scelto questo film perché mi interessa l’aspetto politico del mio personaggio, che arriva in Grecia per aiutare gli attivisti contro il capitalismo. Io sapevo invece delle manifestazioni, sono cresciuta in una famiglia impegnata, mio nonno era un ex partigiano».

La storia di Allegra e quella di Rose

Si può ormai quasi definirlo un abbonato alle inaugurazioni. Dopo l’apertura online e in diretta televisiva nazionale delle Giornate cinematografiche di Soletta nel gennaio scorso, Atlas, l’ultimo lungometraggio del regista ticinese Niccolò Castelli aprirà anche la sezione Panorama Suisse di Locarno 74. L’appuntamento - al quale saranno presenti l’autore e alcuni membri della troupe - è per le ore 11 al Palexpo FEVI.

Allegra ma non troppo

l film racconta la storia di Allegra (Matilda De Angelis premiata per la sua interpretazione al Festival cinematografico di Taormina): una giovane donna vivace con la passione per l’alta montagna. La giovane decide di recarsi in Marocco per raggiungere la cima dell’Atlas, ma il suo viaggio terminerà bruscamente per via di un attacco bomba in un caffè che costerà la vita dei suoi tre amici. Incapace di superare il trauma, mesi dopo Allegra torna nella sua città. Qui l’incontro con Arad (Helmi Dridi), un giovane rifugiato musulmano, la costringerà a confrontarsi con la sua percezione della realtà, le sue paure e a curare le sue profonde ferite interiori. Atlas è stato prodotto da Villi Hermann in collaborazione con case di produzione con sede in Belgio e in Italia.

Il meglio della Svizzera

Come di consueto, la sezione Panorama Suisse punta a segnalare al pubblico di Locarno una serie di produzioni elvetiche recenti che si sono già fatte notare ad altre manifestazioni nel corso degli ultimi 12 mesi.

La nuova vita di Rose

Questa sera in Piazza Grande sarà invece la volta del lungometraggio Rose diretto da Aurélie Saada che ha curato anche le musiche del film. Rose, 78 anni, ha appena perso l’amato marito. Quando il lutto lascia il posto a una potente spinta a vivere la propria vita, facendole capire che può ancora ridefinirsi come donna, l’intero equilibrio della famiglia viene sconvolto.

Come spiega la regista: «Rose è la storia di una rivoluzione intima, quella di una donna di 78 anni che, dopo aver perso l’amato marito, scopre sé stessa e si rende conto di essere non solo una madre, una nonna e una vedova, ma anche una donna, e di avere il diritto di goderne e di desiderare fino alla fine dei suoi giorni+

Prenotazione obbligatoria

Ricordiamo che per tutte le proiezioni del 74. Locarno Film Festival è necessaria la prenotazione dei posti sul sito della manifestazione o tramite l’apposita App. Per qualsiasi informazione: www.locarnofestival.ch.

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