La recensione

Apparire o sparire, i «giovani dèi» tornano inquieti (e mai quieti)

L’ultimo lavoro degli svizzeri Young Gods segna anche il loro 40.esimo sulle scene
The Young Gods sono, da sinistra: Bernard Trontin (batteria), Franz Treichler (voce) e Cesare Pizzi (sampler). © www.younggods.com
Dimitri Loringett
04.08.2025 06:00

Apparire o scomparire. Agire o fuggire. Il dualismo tra azione ed evasione pervade il pensiero di Franz Treichler, frontman degli svizzeri Young Gods, nei testi scritti - in inglese ma anche in francese - per Appear Disappear, l’ultima produzione discografica della storica band pioniera del genere industrial e dei suoni campionati.

L’album, il 13. in studio, è uscito - un po’ in sordina, ma i fans lo attendevano, grazie all’efficace comunicazione diretta, via newsletter, che da anni il trio romando intrattiene con loro - a metà giugno, suggellando una carriera iniziata ben 40 anni fa.

Ma Appear Disappear è tutt’altro che un album commemorativo. Anzi: i «giovani dèi» hanno partorito dieci brani come sempre nuovi di zecca, originali e unici nei suoni, testi ed esecuzione stilistica. E c’è anche una «novità», o forse una prima : un brano contiene il sample di un riff di chitarra di Mouth Breather, composizione del ‘91 degli americani The Jesus Lizard (di passaggio recentemente a Milano, tra l’altro). Non sappiamo se Treichler o il buon Cesare Pizzi (è lui il Maestro dei campionatori) abbiano voluto omaggiare la leggendaria band di David Yow, con cui hanno condiviso un periodo molto prolifico, quello di inizio anni Novanta, oppure se semplicemente hanno ritenuto il riff «giusto» per il loro brano Mes yeux de tous.

Poco importa, con questo nuovo album il trio torna, dopo l’esperimento «minimalista» e interamente strumentale del precedente In C (cfr. CdT del 27.12.2022), alla forma canzone e, soprattutto, alle taglienti sonorità rock-industrial, loro vero e proprio «trademark»: è il caso delle prime tre tracce del disco, che per dieci minuti circa non lasciano prendere fiato all’ascoltatore. Dopo di che si passa alle sonorità più psichedeliche e soffuse, che hanno contraddistinto i lavori più recenti degli Young Gods: segnaliamo in particolare gli ipnotici Blackwater e Intertidal, che meritano un ascolto in «loop» - proprio come quelli suonati a profusione dalla band. E infine, si chiude con i ritmi martellanti della batteria di Bernard Trontin in Shine That Drone e le atmosfere inquietanti di Off The Radar.

Poco prima di pubblicare l’album, Franz Treichler ha condiviso coi fans alcuni commenti sui testi, in particolare sulla «title track», i cui primi versi recitano: «I spend my time in / The brain of the monster / My ghost net nation». La frase è ispirata a un aneddoto raccontato dal sociologo e politico svizzero Jean Ziegler sull’iconico Che Guevara. Quando Ziegler espresse il desiderio di unirsi alla rivoluzione cubana, Guevara gli rispose: «Tu sei in Svizzera, resta lì per aiutarci: sei nella testa del mostro». Una metafora potente, con cui Treichler esprime il disagio di vivere in un Paese apparentemente neutrale, ma profondamente implicato nei meccanismi globali di sfruttamento e conflitto. La Svizzera diventa così una «ghost net nation» – una nazione che lascia dietro di sé reti fantasma, come quelle dei pescherecci industriali, invisibili ma letali per la fauna marina.

E quindi: «I can ride the snake or / Get back on the tiger», canta Treichler, ponendosi la domanda se «cavalcare il serpente» e fuggire verso altre realtà oppure se «risalire sulla tigre» e reagire, ripartire. E a proposito di ripartire, gli Young Gods saranno in tour dal 4 settembre in tutta Europa. Per info: www.younggods.com/live-dates$