La storia

Ecco Intervision, l'Eurovision di Putin senza arcobaleni e paillettes

Rinato grazie a un decreto presidenziale, il concorso creato in Polonia all'epoca dell'URSS tornerà in vita questa sera a Mosca: 23 le delegazioni invitate, «ma senza testi con temi politici»
©MAXIM SHIPENKOV
Marcello Pelizzari
20.09.2025 10:30

Lustrini, paillettes e musica di dubbio gusto. Lo scorso febbraio, tramite decreto presidenziale, Vladimir Putin aveva confermato la ripresa di Intervision o, meglio, Intervidenie. Un Eurovision Song Contest alla russa, volendo riassumere al massimo, nato in Polonia all’epoca dell’Unione Sovietica e, a suo tempo, riservato ai Paesi del blocco orientale. La decisione, di per sé, è una risposta all’esclusione della Russia dall’Eurovision «vero», avvenuta oltre tre anni fa e sulla scia dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte dell’esercito di Mosca.

Le danze, programma alla mano, apriranno questa sera nella capitale, all’interno della Live Arena. Ma il punto, a ben vedere, è un altro. La mossa di Putin va letta con le lenti della guerra culturale (e valoriale) che la Russia sta combattendo, contro l’Europa, da tempo. Non è un caso, d’altronde, se il vice-primo ministro russo, Dmitry Chernyshenko, ha assunto la direzione dell’evento. Di più, a rappresentare la Russia ci sarà nientepopodimeno che Shaman, nelle cui canzoni possiamo facilmente trovare riferimenti nazionalisti e sostegno alla cosiddetta operazione militare speciale. Un suo brano, traducibile con Io sono russo, è perfino diventato obbligatorio nelle scuole.

La storia di Intervision, dicevamo, affonda le radici nell’Unione Sovietica e nel periodo della Guerra Fredda. Negli anni Settanta, in risposta a Eurovision, la cui prima edizione si tenne a Lugano nel 1956, una decina di delegazioni del citato blocco orientale si riunirono a Sopot, in Polonia, per contendersi la vittoria. In realtà, nella stessa Sopot e, parzialmente, in Cecoslovacchia negli anni Sessanta e fino a metà anni Settanta si tennero concorsi canori simili. C’erano, appunto, i Paesi del blocco orientale oltre ad amici dell’URSS come Cuba. Fra il 1977 e il 1981, a brillare in particolare furono Cecoslovacchia, Polonia e Unione Sovietica. Quindi, lo stop.

Con la caduta dell’URSS e la fine della Guerra Fredda, le oramai ex repubbliche sovietiche e i Paesi nell’orbita di Mosca, come la Polonia, si unirono all’Eurovision Song Contest. Lo stesso fece la Russia, nel 1994. Mosca, comprendendo la portata dell’evento, capace di attirare ogni anno fra i 150 e i 200 milioni di spettatori, spinse sin da subito e in ogni edizione per assicurarsi la vittoria.

Venendo a tempi più recenti, in due occasioni la Russia ha puntato su Sergey Lazarev, chiudendo un occhio e pure l’altro, pensando alle posizioni del Cremlino, sulle sue aperture ai diritti LGBT o ancora alle sue critiche all’annessione illegale della Crimea. I risultati? Per nove volte la Russia ha chiuso fra le prime tre mentre nel 2008, con Dima Bilan e la sua Believe, ha strappato la vittoria. Progressivamente, però, la Russia si è distanziata sempre più da Eurovision. Complice la presenza (e la forte concorrenza, artisticamente parlando ma non solo) dell’Ucraina. Il punto di non ritorno, per così dire, è rappresentato dalla vittoria dell’austriaca Conchita Wurst, una drag queen con la barba, nel 2014. Su Rossiya 1, l’emittente di Stato, c’è chi, allora, aveva tuonato: «L’Europa non ha più donne e uomini». Un portavoce della Chiesa ortodossa, invece, si era spinto oltre dicendo che il successo di Wurst era un passo, ulteriore, verso «il rifiuto dell’identità cristiana da parte della cultura europea». Posizioni, queste, riprese fra gli altri dall’Ungheria in questi ultimi anni: a detta di Budapest, Eurovision è troppo intriso di «cultura woke» e «ideologia LGBT».

Ed eccoci, dunque, al nuovo/vecchio Intervision, in chiara e netta opposizione al decadentismo europeo. Il concorso che andrà in scena a Mosca punta su valori «universali, spirituali e familiari tradizionali». L’esponente in gara per la Bielorussia, Nastya Kravchenko, si è subito accodata a questo tradizionalismo spinto, affermando di non avere alcuna voglia di vedere «uomini con i capelli lunghi cantare con i tacchi». A suo dire, il concorso moscovita «dimostrerà a Eurovision che è possibile creare uno spettacolo cool e colorato senza ricorrere a trucchi inappropriati». La senatrice Liliya Gumerova, membro del partito di Vladimir Putin, ha spiegato che Intervision rappresenta un’occasione per «promuovere la vera musica» e non, attenzione, «i falsi valori che sono estranei a qualsiasi persona normale». Spoiler: difficilmente, nell’arena di Mosca, vedremo bandiere arcobaleno.

L’apparato statale, evidentemente, non ha lasciato né lascerà nulla al caso. Sono state invitate e annunciate 23 delegazioni, fra cui la citata Bielorussia (pure esclusa da Eurovision), il Venezuela, il Vietnam e molti Paesi dell’Asia centrale. Sono stati vietati i testi che «incitano alla violenza» o che ledono «l’onore e la dignità». Zero spazio anche a «testi contenenti tematiche politiche».

A differenza di Eurovision, le canzoni non sono state pensate o scritte per l’occasione. Alcune, infatti, circolano sulle piattaforme da uno o due anni. Fra le star annunciate, l’indiano Rauhan Malik. Con la sua Ishq ha totalizzato quasi 300 milioni di visualizzazioni su YouTube. Dicevamo delle delegazioni: a sorpresa, ma nemmeno troppo, avrebbero dovuto esserci anche gli Stati Uniti con il semi-sconosciuto Brandon Howard, passato alla storia come un possibile figlio di Michael Jackson. Secondo la TASS, tuttavia, si è ritirato a tre giorni dalla competizione per non meglio precisate motivazioni familiari.  

Intervision, concludendo, è un tentativo, l’ennesimo, da parte di Mosca di sviluppare e allargare una sua rete di influenza. Un’operazione di soft power, volendo sintetizzare. Ma è anche un modo per rispondere all’isolamento internazionale e all’esclusione della Russia, complice la guerra in Ucraina, da eventi di grande richiamo come le Olimpiadi o i Mondiali di calcio. Con il pretesto di «sviluppare la cooperazione culturale e umanitaria internazionale», il Cremlino per Intervision ha speso una montagna di soldi al fine di estendere, come detto, la sua influenza. L’obiettivo, d’altro canto, è fin troppo scontato: offrire al mondo un’immagine grandiosa, finanche pacifica della Russia e contrastare la reputazione, disastrosa, che il Paese si è «costruito» in tre anni e passa di conflitto. Invitando potenze demografiche come Cina, Brasile e India, Mosca in sostanza sa che raggiungerà centinaia di milioni di telespettatori.