Musica

Ele A: «Il rap è un racconto identitario, do dunque molta importanza alle mie radici ticinesi»

Abbiamo incontrato la giovane cantante, fresca di esibizione al concerto del primo maggio a Roma – «Lugano è la città del cuore, ma offre pochi stimoli ai giovani» – «Amo l'hip hop perché è un genere diretto, narrativo e vero che permette di affrontare qualsiasi argomento»
© Samuel Merisi
Mattia Darni
10.05.2025 12:00

La settimana scorsa si è esibita al concerto del primo maggio portando sul palco di Roma 64 barre di dopamina e Oro. Lei è Ele A, all'anagrafe Eleonora Antognini, cantante ticinese classe 2002. Originaria di Aranno, nel Malcantone, cresce a Lugano dove muove i primi passi nella scena rap. Il suo primo EP risale al 2022 quando pubblica Zerodue Demo, disco autoprodotto che viene distribuito solo in formato fisico. Seguono Globo nel 2023 e Acqua nel 2024. Il successo a livello ticinese, svizzero e italiano non tarda ad arrivare e, oggi, Ele A vanta collaborazioni con nomi di spicco del panorama musicale della Penisola quali, solo per citarne alcuni, Guè, Neffa e Cor Veleno. L'abbiamo incontrata.

Eleonora, partiamo proprio dal concerto del primo maggio; che emozioni hai provato sul palco di piazza San Giovanni?
«È stato bellissimo perché non capita tutti i giorni di cantare davanti a così tanta gente. In queste situazioni, di solito, è difficile creare un legame con il pubblico, anche perché il tempo a disposizione si riduce a pochi minuti. A Roma, però, c'è stata grande sintonia tra me e le persone. Ricordo, in particolare, un gruppo di ragazzi in prima fila che conosceva le parole di tutti i miei testi: non me lo sarei mai aspettato».

Tra i pezzi che hai cantato in piazza San Giovanni c'era Oro, brano non recente che ha la particolarità di contenere alcuni riferimenti ad aspetti tipici della realtà svizzera e ticinese quali la «cassa malati», il «Civico» inteso come ospedale e il «natel» nel suo significato di «telefono cellulare». Come mai hai portato a Roma questa canzone?
«Ho deciso di cantare Oro proprio per questa sua peculiarità: la nostra è una realtà piccolissima che raramente può godere di vetrine importanti. Mi piaceva l'idea di portare la mia narrativa fuori dai confini nazionali perché la Svizzera è una realtà poco conosciuta all'estero. È impressionante osservare come due persone cresciute a pochi chilometri di distanza, ma separate da un confine siano allo stesso tempo tanto diverse e tanto simili. Per me, inoltre, prerogativa della cultura hip hop è raccontare le proprie radici socio-culturali nonché la propria vita quotidiana: il luogo e il senso di appartenenza sono molto importanti».

Come vengono accolti dal pubblico italiano i richiami alla realtà svizzera e a quella ticinese?
«Grazie all'Acqua Tour che ho concluso negli ultimi mesi del 2024 mi sono resa conto che anche in Italia parole come "natel" o espressioni come "cassa malati" vengono comprese. Il bello della musica risiede proprio in ciò: attraverso riferimenti a noi lontani conosciamo altre culture nelle quali, magari, ci rivediamo. Devo poi ammettere che in tanti mi hanno chiesto se sono di Palermo per via del prefisso 091 che cito in alcuni brani; ho sempre risposto divertita che, in realtà, arrivo da un po' più su (dice scoppiando a ridere, ndr.)».

Nel brano intitolato Tennis Club mischi richiami al nostro Paese (penso a quando dici: «dalla Suisse come Federer») a elementi di carattere più internazionale (e qui penso a quando reciti: «lo vedo, il tuo sorriso non è sincero, come la banconota da 9 euro); sembri insomma sempre in bilico tra due mondi, la Svizzera e l'Italia. Devi ancora trovare una tua identità?
«È una prerogativa elvetica trovarsi a cavallo tra due realtà. Realisticamente, se una persona ambisce a uscire dal territorio cantonale con la propria musica è obbligata a fare i conti con i confini. Non bisogna poi dimenticare che la cultura ticinese è fortemente imbevuta di quella italiana. A ciò si deve aggiungere il fatto che i miei genitori sono figli di immigrati: quindi la cultura della Penisola è una cosa che mi appartiene. La mia quotidianità, infine, è un mix di culture che mi viene spontaneo riportare in quanto con l'hip hop racconto la mia vita».

Musicalmente parlando, invece, hai una cifra stilistica ben definita: il tuo è un rap che potremmo definire di «vecchia scuola». Che cosa ti ha spinta a lanciarti in questo genere e quali sono le ragioni che ti hanno portata a risalire alle sue origini?
«È da i tempi delle scuole elementari che amo scrivere: il seme autoriale è sempre stato presente in me. Il punto di svolta è arrivato alle scuole medie quando un amico mi fece ascoltare il mio primo pezzo rap. Ho subito capito che era il tipo di musica che stavo cercando perché è diretto, narrativo, vero e permette di affrontare qualsiasi argomento. Ho così iniziato a scrivere alcuni testi e, durante il periodo del Coronavirus, ho iniziato a pubblicarli sui social. La scelta di tornare alle origini del rap è stata naturale perché ha elementi comuni agli altri stili musicali che amo. Nel dettaglio, adoro le armonie jazzate e gli accordi e le progressioni del jazz che si ritrovano nell'hip hop degli anni Novanta il quale viveva grazie al campionamento di brani jazz, soul e R&B».

Sei cresciuta a Lugano; qual è il tuo rapporto con la città?
«Lugano per me è casa; non mi immagino un altro posto in cui trascorrere gli anni della pensione. È una città che amo: ogni volta che passo sul lungolago esclamo: "Che bello". Dal punto di vista estetico è una perla: la natura è magnifica e così lo è l'architettura degli edifici. Poi è vero che per un giovane, a livello di stimoli, non è facilissimo crescere a Lugano. Soprattutto in questo momento vedo che da parte dei ragazzi c'è tanta voglia di fare, ma forse enti e istituzioni culturali non hanno abbastanza fiducia in loro. Se si vuole far crescere la città è importante dare spazio ai giovani perché saranno loro a modellarla nell'avvenire. Guardando al futuro rimango comunque fiduciosa».

Hai parlato della mancanza di stimoli in una realtà come Lugano; quanto è difficile per un artista ticinese sfondare all'estero?
«Non è semplice rispondere alla domanda perché dipende sempre da come uno guarda le cose. Personalmente, il fatto di trovarmi in un posto senza stimoli mi ha aiutato perché me li sono dovuta trovare da sola: se non mi fossi annoiata non avrei creato nulla. Lugano è poi una città tranquilla e questa sua caratteristica permette di analizzare meglio le cose. Guardando agli aspetti penalizzanti va invece citata la perdita del senso di appartenenza: se da ticinese vuoi uscire dagli schemi, nel nostro cantone rischi di essere messo un po' in disparte; allo stesso tempo, però, all'estero ti considerano come un estraneo e quindi non ti danno la fiducia che magari meriteresti. Per fortuna nel mio caso non è stato così. Ora, credo che la ragione per cui non ci sono tanti rapper svizzeri sia da ricondurre proprio a questa mia considerazione visto che, come detto in precedenza, in questo genere il senso di appartenenza è fondamentale».

Per concludere, che cosa c'è nel futuro di Ele A?
«Sono tornata in studio con il mio produttore Disse per "cucinare" nuovi brani. Non vedo l'ora di pubblicarli perché è passato un po' di tempo dall'ultimo progetto e ho davvero voglia di fare uscire nuove canzoni per non vivere costantemente con un nodo in gola. Sarò poi in tour per tutta l'estate (vedi immagine sotto per le date, ndr.). Guardando invece a un futuro più lontano, mi piacerebbe aprire un locale a Lugano».

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