Regno Unito

Il ritorno degli Oasis a Wembley, con dedica a Ozzy Osbourne

Liam e Noel Gallagher non suonavano, assieme, nell’iconico stadio di Londra dal luglio del 2009 – A celebrare la reunion 90 mila spettatori in lacrime
© X/@wembleystadium
Red. Online
26.07.2025 09:08

Saranno ancora in forma? O saranno stanchi dopo sette, intense date di cui ben cinque a Manchester? Qualche dubbio, in vista della prima, storica data a Wembley, Londra, in effetti c’era. Dubbi che, però, gli Oasis hanno spazzato via. Offrendo a chi c’era uno spettacolo o, meglio, un carnevale di emozioni lodato, una volta di più, dalla stampa. Sì, Liam e Noel Gallagher – per tacere del resto della band – hanno convinto. Ancora. A conferma che, al netto dell’effetto nostalgia e del lato commerciale dell’operazione, questa reunion s’aveva da fare. Uno show, per dirla con il Telegraph, «rumoroso» e «fortunatamente apolitico». Caratterizzato da un Liam in stato di grazia, a cominciare dalla sua voce, emersa in tutta la sua potenza in particolare in Some Might Say e Slide Away.

Gli Oasis mancavano da Wembley dal luglio del 2009. Anche se, nella memoria collettiva, sono impresse le due serate che la band tenne nel vecchio stadio nel 2000. Serate confluite nell’album Familiar To Millions. Il grande ritorno è stato celebrato da 90 mila persone, fra cui la solita, ben nutrita schiera di celebrità. Un ritorno, appunto, carico di ricordi e inevitabili lacrime, proprio come a Manchester. «I fan di ieri – ricorda il Telegraph – sono cresciuti e hanno avuto figli, molti dei quali erano presenti a Wembley». La portata di questa reunion, insomma, era fuori scala, e giustamente. Gli Oasis hanno organizzato solo 17 spettacoli nel Regno Unito; avrebbero dovuto farne 170 per soddisfare la domanda di biglietti.

La band si è mostrata coesa, grazie anche al chitarrista ritmico Paul Bonehead Arthurs. Lasciò la band nel 1999 ma, come ha dimostrato ieri, ha riportato in gruppo il cosiddetto Oasis chug che ha dato a molte delle canzoni il loro peso. I numeri da solista di Noel – Little by Little e The Masterplan in particolare – sono stati il cuore emotivo della serata. Live Forever, con Liam di nuovo in servizio, è stata dedicata al defunto Ozzy Osbourne.

Stupisce, venendo alle canzoni, che quasi tutte le 23 messe in scaletta per questo tour siano legate ai diciotto, folli mesi che – fra aprile 1994 e ottobre 1995 – portarono gli Oasis dalla polvere alle stelle. E che molte di queste fossero lati B. Detto in altri termini, l’impatto culturale degli Oasis è paragonabile a quello che, a suo tempo, ebbero i Beatles.

Ma la musica, come sottolineato anche a Manchester, non è tutto. In un’Inghilterra stritolata dall’economia e dal peso della vita, gli Oasis hanno riportato effervescenza. Hanno riportato, allargando il campo, senso. E significato. La conferma? Uno stadio intero in lacrime, sognante, sulle note di Don’t Look Back In Anger.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea. Detto di questo tour, che poi porterà gli Oasis in Nord e Sudamerica ma anche in Asia e Oceania, che succederà? Noi, nel nostro piccolo, puntiamo su un tour europeo e su un clamoroso ritorno a Knebworth nel 2026 e su Glastonbury nel 2027. Sarà di nuovo corsa al biglietto.

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