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Le major discografiche in pressing su TikTok

Universal, Sony e Warner vorrebbero rivedere gli accordi esistenti con la piattaforma cinese, sempre più contenitore musicale – Chi la spunterà?
Marcello Pelizzari
08.11.2022 19:30

TikTok, è risaputo, deve gran parte del suo successo alla musica. O, meglio, ai video che contengono estratti di canzoni. Video capaci, come ha riferito Bloomberg, di attirare oltre 1 miliardo di utenti. Tutto molto bello, se non fosse che le etichette discografiche – ora – pretendono che la piattaforma social paghi di più, molto di più per i brani utilizzati.

Universal, Sony e Warner avrebbero infatti chiesto a TikTok di condividere le entrate pubblicitarie e, ancora, di aumentare le cosiddette royalties che il social cinese paga per i diritti. L’obiettivo è trovare un accordo prima che i rispettivi contratti scadano nei prossimi mesi.

Verso quota 12 miliardi di dollari

TikTok, in effetti, è diventato (anche) un contenitore musicale. Le stesse etichette ne sfruttano la popolarità per promuovere artisti e commercializzare nuove uscite. Uno strumento di marketing, insomma.

L’app, leggiamo, sta guadagnando tanto, anzi tantissimo. Potrebbe chiudere l’anno a quota 12 miliardi di dollari. Soldi che, manco a dirlo, fanno gola alle major discografiche. Secondo un dirigente attivo nell’industria musicale, TikTok dovrebbe pagare da due a dieci volte di più rispetto agli accordi esistenti. Un discorso tutto fuorché nuovo, dato che altri social – Facebook e YouTube – hanno «subito» lo stesso trattamento in passato.

Anche gli artisti stanno cercando di capire come aumentare i loro guadagni. Certo, TikTok è più un mezzo che un fine: è un complemento all’ascolto, non l’ascolto stesso. Per questo l’azienda cinese sarebbe restia a sborsare le cifre che sborsa Spotify o YouTube.

Il capo del settore musica in seno a TikTok, Ole Obermann, a Bloomberg si è detto fiero del flusso di entrate «consegnato» all’industria discografica nel giro di pochi anni. Obermann conosce bene l’ambiente, avendo lavorato in precedenza proprio per Warner Music.

Come funziona?

Le etichette iniziarono a concedere in licenza i diritti quando TikTok era una piccola app di sincronizzazione labiale. Un’app che non generava soldi. Probabilmente, all’epoca le major ragionarono con il classico «ma sì, che vuoi che sia». Il modello era ed è piuttosto semplice: TikTok si impegnava e si impegna a pagare una tariffa fissa ai grandi gruppi musicali per poter utilizzare (e far utilizzare agli utenti) i vasti cataloghi comprendenti i migliori artisti al mondo.

Tutto molto bello, ribadiamo, ma le stesse major si sono accorte che quasi tutte le canzoni che scalano le classifiche, oggi, devono la loro popolarità a TikTok. Il che, appunto, pone una questione tanto economica quanto morale: se, da una parte, TikTok è un ponte verso Spotify (che dal canto suo paga l’industria in base al numero di riproduzioni) dall’altra, beh, non contribuisce alla crescita di artisti e case discografiche qualora una canzone «rimanesse» sulla piattaforma, al netto delle enormi visualizzazioni di cui godrebbe.

I tre grandi colossi, nell’ordine Sony, Warner e Universal, avevano annunciato i loro accordi a novembre 2020, gennaio e febbraio 2021. Tutte e tre le società hanno continuato, fino ad oggi, a riscuotere quote fisse. I contratti hanno una durata biennale, di qui la necessità (fronte major) di siglare un nuovo e più remunerativo accordo per gli anni a venire.

Ma di quali armi dispongono le case discografiche per spingere TikTok, che sembra avere il coltello dalla parte del manico, forte anche di un mercato pubblicitario floridissimo, affinché si arrivi ad accordi più convincenti? Una risposta potrebbe nascondersi fra le pieghe del proprietario della piattaforma, ByteDance, che nel 2019 aveva creato e lanciato – in Indonesia, Brasile e India – un servizio musicale in streaming e a pagamento, denominato Resso. Ecco, ByteDance ha cercato, invano, di allargare l’offerta per i propri utenti. Non trovando però gli accordi necessari con i titolari dei diritti: Sony, addirittura, all’inizio del 2022 ha ritirato il suo catalogo da Resso. ByteDance, ora, non disdegnerebbe lanciarsi a livello globale con un servizio più potente: TikTok Music. Con quali diritti, però? Voilà. Prima o poi, le parti dovranno trovare un compromesso.

Facebook e YouTube

Il rapporto, diciamo tormentato, fra le etichette e TikTok ricorda da vicino le diatribe con Facebook e YouTube, criticati per non aver fatto abbastanza nel contrastare la pirateria musicale e di essersi arricchiti alle spalle delle major. Non a caso, l’industria ha spinto YouTube a creare un servizio musicale in abbonamento con la vaga promessa che, se avesse convertito anche una minima parte dei due miliardi di utenti in persone paganti, avrebbe raccolto una fortuna.

Sebbene YouTube sia stata accusata dai dirigenti discografici di non aver spinto abbastanza sugli abbonamenti, ad oggi può vantare oltre 50 milioni di clienti paganti. Di più, tra luglio 2021 e giugno 2022 ha versato alle etichette più di 6 miliardi di dollari. Dopo Spotify, è la seconda fonte di entrate del settore. Importante: YouTube garantisce ai titolari dei diritti una quota delle sue entrate pubblicitarie, sulla base del numero di riproduzioni di un brano. Il che, a sua volta, spinge gli utenti a iscriversi al servizio premium a pagamento, senza spot. Anche una parte degli abbonamenti finisce nelle tasche delle major.

Facebook, di suo, non ha (ancora) creato un servizio musicale pay ma, come YouTube, condivide le entrate pubblicitarie con i partner musicali.

TikTok, concludendo, essendo cinese deve affrontare pure non pochi ostacoli geopolitici. L’app è stata bandita in India, per dire, mentre molti politici negli Stati Uniti bramano di arrivare a una soluzione simile. Proprio per questo, sembra si stia premurando anche sul fronte musicale. Risale a marzo, ad esempio, la creazione di SoundOn, servizio che consente agli artisti di caricare la propria musica direttamente su TikTok e guadagnare royalties ogniqualvolta un loro brano viene riprodotto. E ancora: ByteDance sta sondando il mercato alla ricerca di dirigenti capaci di scoprire nuovi artisti, cui sottoporre contratti proprio come farebbe un’etichetta tradizionale.

Alla fine, presumiamo si arriverà al citato compromesso. Appare impensabile che un social così musicale possa fare a meno dei cataloghi dei colossi.