L'intervista

Lucio Corsi: «Eurosong è un palcoscenico simbolo di libertà»

Essersi presentato all’Eurovision Song Contest con una canzone fuori dagli schemi festivalieri, eseguita tra l’altro rifuggendo i criteri di spettacolarità tipici dell’evento, fa dell’italiano una sorta di alieno della settimana canora basilese – Tuttavia, è tra gli artisti che suscitano il maggior interesse mediatico e di pubblico: lo abbiamo incontrato
© GEORGIOS KEFALAS
Mauro Rossi
16.05.2025 07:00

Essersi presentato all’Eurovision Song Contest con una canzone fuori dagli schemi festivalieri, eseguita tra l’altro rifuggendo i criteri di spettacolarità tipici dell’evento, fa dell’italiano Lucio Corsi una sorta di alieno della settimana canora basilese. Tuttavia, è tra gli artisti che suscitano il maggior interesse mediatico e di pubblico: lo abbiamo incontrato.

Come sta vivendo questo momento?
«È una bella esperienza. La semifinale è stata emozionante, soprattutto per il fatto di essere circondato da così tanta gente che riesce quasi a farti dimenticare di essere in televisione. Una situazione che mi ha riportato ad un tipo di esibizioni – i concerti, ovviamente – a cui sono più abituato».

Dimensione da concerto che ha cercato di replicare il più possibile attraverso una scenografia semplice, simile a quella dei «live» e forzando un po’ il regolamento attraverso l’utilizzo di un’armonica a bocca, che come tutti gli strumenti sarebbe in teoria vietata (da regolamento infatti tutta la musica all’ESC deve essere preregistrata)...
«Non c’è stato alcun intento provocatorio nell’uso dell’armonica a bocca. So che l’ESC funziona così e lo sapevo quando ho accettato di parteciparvi. Abbiamo ritenuto di poter usare l’armonica come una sorta di integrazione della voce, ma non in playback. E ha funzionato dando all’esibizione – che per il resto non si discosta molto da quella di Sanremo – un elemento in più. La scenografia invece è quella che porto nei tour, con questi grandi amplificatori alla nostre spalle, un pianoforte e le chitarre che pur non suonando, dimostrano l’importanza che hanno nella nostra proposta, basata su strumenti veri che dà sempre ci girano intorno».

Quello che mi piacerebbe è che grazie all’ESC ci siano possibilità di suonare anche al di fuori dell’Italia. Chissà se accadrà... Lasciamoci sorprendere

Un’altra novità della sua performance è stata la scelta di sottotitolarla in inglese?
«Tengo molto alle parole tanto quanto all’arrangiamento e ai suoni. Sono una parte fondamentale di ogni mia canzone che curo con grande attenzione, come se avessi a che fare sempre con dei rebus. Una delle cose belle dell’italiano, infatti, è la sua ricchezza che ti consente di sperimentare molto, di dire una cosa in cento modi diversi. Ci è sembrato giusto quindi cercare di far capire il nostro testo il più possibile, traducendolo in modo semplice, immediato, fruibile anche a chi oltre che con l’italiano, anche con l’inglese non ha tanta familiarità».

Una performance, insomma, rivoluzionaria, pur nella sua semplicità?
«Come detto non c’è alcun intento provocatorio in ciò che ho fatto. Credo però che una maggior attenzione all’esecuzione, permettendo di uscire dai rigidi schemi – per carità necessari vista la complessità dello show – possa giovare a tutti (cantare su una base è diverso dal cantare suonando uno strumento: questione di dinamiche ma anche di feeling), come l’utilizzo dei sottotitoli. Trovo sia bello, come accade, che si spinga a non utilizzare unicamente l’inglese bensì tutte le lingue europee, ognuna con le sue splendide e uniche sfumature: sarebbe altresì bello che tutti possano comprendere subito ciò che viene cantato».

Parliamo della finale: come la affronterà?
«Come la semifinale: cercando di dare il meglio sul palcoscenico, senza alcuna ambizione. L’ho sempre dichiarato: non mi interessano le classifiche, piuttosto far conoscere la mia musica presentandola così come è nata e così come la portiamo in tour. Non ha alcun senso agire altrimenti e snaturarla solo per ottenere qualche consenso in più: non l’ho fatto a Sanremo e non lo faccio neppure su un palcoscenico come questo. Che trovo bellissimo perché consente ad ogni artista di decidere come portare la sua idea di musica e di esibizione. È una manifestazione in cui c’è tantissima libertà, che mostra quanti differenti modi di vivere la musica ci sono, radunandoli tutti sullo stesso palco».

Cosa succederà dopo Basilea?
«Continuerò a suonare, come abbiamo fatto fino a qualche giorno e fa. Non cambierà alcunché, come non è cambiato dopo Sanremo. Quello che mi piacerebbe è che grazie all’ESC ci siano possibilità di suonare anche al di fuori dell’Italia. Chissà se accadrà... Lasciamoci sorprendere»

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