La storia

«Ognuno di noi è fighissimo così com'è!»

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Patrick Botticchio, regista di un documentario sui Camaleonti, squadra luganese promotrice di un calcio inclusivo
Mattia Darni
15.10.2022 19:30

I Camaleonti – La squadra senza frontiere: questo è il titolo del documentario che Patrick Botticchio ha dedicato ai Camaleonti, formazione luganese composta da persone con disabilità che ormai da diversi anni promuove un’idea di inclusione attraverso il calcio, ma non solo. Impegnata in un torneo internazionale in Germania dove ha affrontato compagini blasonate quali, solo per citarne alcune, Chelsea, Paris Saint-Germain e Benfica, la squadra è stata seguita dal regista ticinese che ne ha proposto un ritratto intimo e a tratti molto toccante. In vista della prima del documentario, domani alle 20.40 su RSI LA1 nell’ambito del programma Storie, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Patrick Botticchio per capire la genesi di questo lavoro e i suoi retroscena.

Signor Botticchio, come è nata l’idea di girare un documentario sui Camaleonti?
«È partito tutto da Boris Angelucci, direttore e responsabile tecnico della squadra, e da uno dei calciatori, Stefano, che lavora alla RSI. Insieme sono andati da Michele Beltrami, produttore di Storie, per chiedere se sarebbe stato possibile dedicare una puntata della trasmissione al loro progetto di calcio inclusivo. Il riscontro è stato positivo e Michele mi ha domandato se fossi interessato a curare la regia del documentario. Per me, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, è stato un onore poter contribuire alla realizzazione del lavoro. Il mondo della disabilità, nel quale lavoro da diversi anni soprattutto con il progetto "Teatro DanzAbile", mi affascina parecchio: perciò alla proposta di Michele mi sono subito gasato».

Come abbordare correttamente il tema della disabilità?
«Innanzitutto bisogna affrontare la questione senza tabù e capire che di fronte a noi abbiamo delle persone che meritano rispetto. Questo atteggiamento per me si traduce nel trattare con loro come tratto con qualsiasi altra persona. Se non facessi così cadrei nella caricatura».

Questi ragazzi mi hanno insegnato cosa sia realmente l’umiltà

Una delle difficoltà del genere «documentario» è ritrarre il mondo circostante nella maniera più veritiera e spontanea possibile: il rischio di cadere nell’artificiosità, infatti, è sempre dietro l’angolo. Come ha affrontato la sfida?
«Il mio stile è seguire i personaggi camera alla mano. La difficoltà, al massimo, è stata, in alcuni momenti, trattenere le lacrime durante le riprese. I Camaleonti hanno un cuore immenso e vederli sostenersi l’un l’altro e insieme gioire dei traguardi ottenuti come collettivo è stato davvero toccante».

Ha parlato di emozioni: il suo documentario insiste molto su questo aspetto bilanciando bene momenti commoventi ad altri più leggeri. Questo approccio è stato studiato a tavolino o è nato spontaneamente nel corso delle riprese?
«Dal momento che la mia idea di documentario non si basa su delle interviste bensì sul catturare la realtà che mi circonda, non posso, a priori, decidere un aspetto sul quale puntare con maggior vigore. Ovviamente presto attenzione a ciò che accade attorno a me e cerco di catturare i momenti di pathos. Non forzo però mai la mano poiché ciò intaccherebbe il valore della mia opera in quanto non mi permetterebbe di essere onesto e sincero con il pubblico. Anche per quel che riguarda l’accostamento di situazioni commoventi ad altre più divertenti, non ho dovuto fare un lavoro particolare: i Camaleonti sono così, sono un concentrato di emozioni allo stato puro e passano dal riso al pianto in un nanosecondo».

Per le riprese del documentario ha preso parte al viaggio dei Camaleonti in Germania, dove erano impegnati in un torneo internazionale, ed ha vissuto per una settimana circa a stretto contatto con la squadra. Cosa ha imparato da questa esperienza?
«Dai Camaleonti ho imparato il senso profondo dell’umiltà e ad apprezzare anche i gesti più piccoli, quelli a cui nella società odierna non diamo, sbagliando, più valore. I Camaleonti hanno delle difficoltà ad affrontare il mondo che li circonda: tale caratteristica, tuttavia, invece di essere uno svantaggio è, secondo me, un vantaggio perché permette loro di vivere meglio e apprezzare ciò che noi diamo per scontato».

Detto di quanto ha imparato lei dai Camaleonti, quale vuole invece essere il messaggio del suo documentario?
«A costo di sembrare ripetitivo, dico l’umiltà e l’importanza di godersi la vita. Quello che poi vorrei far capire è che non siamo una società standardizzata, ognuno di noi è unico ed è fighissimo così com’è».