L'intervista

Pio e Amedeo: «Siamo due cialtroni ribelli del politically correct»

Sono gli alfieri della comicità «politically scorrett» i foggiani Pio D’Antini e Amedeo Grieco che sabato sera, 24 febbraio, arriveranno in Ticino (ore 20.30, Palazzo dei Congressi di Lugano) con lo spettacolo «Felicissimo Show» – Li abbiamo incontrati
Mauro Rossi
21.02.2024 06:00

Sono gli alfieri della comicità «politically scorrett» i foggiani Pio D’Antini e Amedeo Grieco che sabato sera, 24 febbraio, arriveranno in Ticino (ore 20.30, Palazzo dei Congressi di Lugano) con lo spettacolo Felicissimo Show nel quale portano in scena quell’umorismo spontaneo, popolaresco – e anche un po’ sboccato – che ha fatto la loro fortuna sia televisivamente (Le Iene, Emigratis, Felicissima Sera) sia al cinema (quattro i film al loro attivo tra cui il recentissimo Come può uno scoglio, tra le pellicole più fortunate, in Italia durante il periodo natalizio). Li abbiamo incontrati.

Molti vi conoscono per le avventure artistiche dell’ultimo quinquennio. Però siete sulle scene ormai da vent’anni che, nel settore comico, sono quasi un’eternità. Quando avete iniziato pensavate di arrivare così lontano e, soprattutto, con un simile crescendo di popolarità ?
PIO «Assolutamente no. Ci saremmo accontentati di molto meno però, nel momento in cui ottenevamo qualcosa, abbiamo sempre cercato di migliorarci. È un lato del nostro carattere che abbiamo scoperto nel tempo: che ci piace ballare sempre sulla graticola, provare a fare qualcosa di nuovo ogni giorno senza mai accontentarsi. Di conseguenza non riusciamo mai a fermarci. Ce lo ripetiamo spesso che ogni tanto dovremmo goderci maggiormente ciò che facciamo. Però c’è poi quest’adrenalina che ci carica e ci spinge sempre a fare qualcosa di diverso».

Come è cambiata, a vostro avviso, la comicità in questo ventennio?
PIO «Si è un po’ incartata, soprattutto nelle scelte, nella direzione da prendere. Prima era molto più libera, più veloce. C’erano meno aspettative da parte dello spettatore, meno pretese. E questo ti portava ad esprimerti più liberamente, senza condizionamenti di sorta. Oggi siamo rimasti in pochi a concepire la comicità in questo modo: si cerca sempre a tutti costi di fare qualcosa di stratosferico, di sorprendere. Ma la comicità è qualcosa di semplice, che si prende dalla strada, dalle cose di ogni giorno. Però la strada bisogna viverla, osservarla. Noi abbiamo avuto la fortuna di viverla la strada e di poterla raccontare. Abbiamo “solo” quarant’anni ma abbiamo iniziato presto. Invece molti nostri coetanei purtroppo non hanno avuto lo stesso background e si ritrovano a raccontare delle cose che sono difficilmente comprensibili e in cui la gente non si riconosce».

I format televisivi della comicità, in questo senso, sono più un danno o un vantaggio per chi fa il vostro mestiere?
PIO «Un danno, assoluto. Soprattutto quando ti imbrigliano all’interno di certe strutture, quanto si fissano dei rigidi paletti affermando che è così che oggi funzionano le cose. Hanno provato anche a noi a imporci certi standard, dicendoci che meno tempo stavi in scena meglio era; che il varietà è morto. Cosa non vera. E noi siamo proprio la dimostrazione lampante che il varietà è vivo e vegeto. Dipende da come lo fai. Dunque noi siamo veramente contro i format televisivi. A meno che non si tratti di un qualcosa di inedito, inventato da te. E noi abbiamo sempre avuto la fortuna di fare delle cose nostre».

La vostra comicità si distingue per la sua scorrettezza, specie in un periodo in cui tutto tende verso una correttezza e un formalismo a volte addirittura eccessivi. Quando del vostro successo è accreditabile a questo vostro andare contro corrente?
AMEDEO «Tanto. Perché siamo rimasti in pochissimi ad agire in questo modo. E questo poiché ci vuole parecchio coraggio. Bisogna avere la consapevolezza che ci si sta esponendo in qualche modo, e che dopo due ore si avrà a che fare con i social media, i loro pareri. Ed è difficile in questo momento storico di non tenere conto di ciò, far finta che non esistano. È una presa di posizione, è un atto di coraggio, alla fine, parlare come la pensa la stragrande maggioranza della gente. Perché io sono convinto che la gente, nei bar e nei ristoranti, sia ancora quella che parla come cerchiamo di parlare noi, come proviamo a rappresentarla. Poi, ovviamente, in nome di questo “politically correct” , si cerca di sterilizzare, di censurare ogni pensiero che non sia in linea con ciò che è stato deciso per noi e derivante da culture che magari non ci appartengono, come quella americana. È tutto così, in questo momento. E siamo consapevoli di essere tra quelli che si prendono la responsabilità di contrastare questo trend».

Questo vale sia in tv sia al cinema, medium che frequentate con assiduità?
AMEDEO «Il cinema credo che, alla fine, sia ancora il medium in cui si è più liberi, unitamente al teatro. Infatti il film è un prodotto a pagamento. Che tu scegli di vedere o no, assumendotene la responsabilità. Al contrario della tv che è gratuita, che è un mezzo aperto a tutti e nel fare la quale devi tenere conto di chi fa zapping e più o meno inconsapevolmente si ritrova a guardarti. Ecco perché il cinema ti tutela di più rispetto alla tv. E poi c’è un altro elemento fondamentale: in un film tu interpreti un personaggio e dunque sei coperto dalla maschera che indossi in quel momento. Insomma al cinema è più facile che in tv essere scorretti».

Quindi per voi è meglio lavorare al cinema e a teatro che in tv?
AMEDEO «Alla fine quello che conta è divertirsi. Il cinema è quello che forse ti annoia di più per le dinamiche della lavorazione: stare su un set, ripetere le scene molte volte in un ambiente spesso asettico, senza il calore del pubblico… A livello empatico direi che in testa a tutto c’è il teatro, poi se la giocano cinema e tv perché ognuno ha le sue cose belle e le sue noie. Noi cerchiamo comunque di divertirci sempre, il nostro principio è quello. Però devo dirti che è dura scegliere tra cinema e televisione: in assoluto noi scegliamo però sempre il “live” che è la cosa migliore…»

A proposito di «live»: lo show che arriverà a Lugano cosa avrà di diverso rispetto a quello che proponete nei teatri italiani in cui prendete in giro le storture di una realtà che tutti vivono quotidianamente, diversa da quella elvetica? Non c’è il rischio che di fronte a certe cose il pubblico rida di meno?
PIO «Siamo sicuri che rida di più di quello italiano perché una cosa raccontata in Italia da italiani fa ridere. Ma raccontata da italiani a degli elvetici “filoitaliani” (permettimi questa brutta parola) ha maggior forza. Perché noi alla fine raccontiamo gli usi e le abitudini degli italiani, nel nostro caso switchandoci, uno che vive al sud e uno che vive al nord, quindi con degli approcci totalmente diversi. Sono degli stereotipi abbastanza connotativi nelle menti degli italiani e soprattutto di chi guarda gli italiani, in questo caso gli elvetici, e quindi siamo sicuri. Lo abbiamo già sperimentato a Basilea, dunque ancora più su, e ha una forza maggiore».

Parliamo di futuro: qualche mese fa avevate dichiarato di volervi fermare, invece siete più attivi che mai: è appena uscito un vostro film, il tour procede ininterrottamente. Andrà avanti così ancora a lungo, oppure vi prenderete una pausa, magari per lavorare a qualcosa di nuovo?
PIO «L’intenzione di fermarci un po’ c’è, ma non ci riusciamo. Ci eravamo detti: finiamo il film e se va bene ci prendiamo una pausa. E non è accaduto. Perché è una droga, ti senti sempre in dovere di non deludere la gente. Perché noi alla fine facciamo questo mestiere per il pubblico. Che in questo periodo ci vuole. Abbiamo lasciato tanta gente fuori dai teatri ed era giusto continuare, nonostante sia stancante, soprattutto per gli spostamenti: il giorno prima sei magari a Gallipoli e il giorno dopo a Zurigo. E questo nonostante l’intenzione di fermarci soprattutto per avere il tempo di pensare. Per fare le cose bene ci vuole infatti tempo, riflessione, che è il nostro metodo di impostare il lavoro che per quanto cialtrone sia – perché in fondo siamo due cialtroni – ha alle spalle sempre un preciso ragionamento: non è mai la prima cosa che ci passa per la testa».

E dunque?
PIO «Stiamo ragionando su un altro film. Non sappiamo ancora quando e dove lo faremo ma sarà con ogni probabilità quello il nostro prossimo step».

Foggiani, quasi gemelli (sono nati il 25 e 20 agosto 1983), amici sin dai tempi della scuola, Pio D’Antini e Amedeo Grieco hanno iniziato a fare coppia comica nei villaggi turistici, poi in reti televisive locali per approdare a Mediset nel 2011, dapprima a «Zelig», poi quali inviati de «Le Iene», come ospiti fissi di «Amici» di Maria de Filippi e infine con programmi propri («Emigratis» e il varietà «Felicissima Sera»). Al cinema hanno debuttato nel 2014 con «Amici come noi», diretto da Enrico Lando realizzando in seguito tre altre pellicole tra cui «Come può uno scoglio», diretto da Gennaro Nunziante uscito nel dicembre 2023. Il «Felicissimo Show» in scena sabato sera a Lugano (ore 20.30) «replica» sul palcoscenico le gag e le situazioni del fortunato format televisivo. Prevendite: www.ticketcorner.ch.