L'intervista

«Posso partire con alle spalle due direttori in armonia»

La notizia non era del tutto inattesa ma è comunque di quelle che fanno colpo: nella primavera del 2024 Marco Solari non solleciterà il rinnovo del suo mandato di Presidente del Locarno Film Festival, carica che occupa dal 2000.
Antonio Mariotti
16.08.2022 06:00

La notizia non era del tutto inattesa ma è comunque di quelle che fanno colpo: nella primavera del 2024 Marco Solari non solleciterà il rinnovo del suo mandato di Presidente del Locarno Film Festival, carica che occupa dal 2000. Con lui abbiamo parlato di questa «svolta epocale» per la manifestazione, ma non solo.

Fra un anno sarà ancora qui a rispondere alle domande dei giornalisti da Presidente in carica?
«Sì, resterò al mio posto anche per l’edizione 2023. Ho voluto evitare che questo discorso si sovrapponesse con quello sul settantacinquesimo per non mescolare le due cose. Il mandato triennale che ricevo dall’Assemblea del Festival scade nella primavera del 2024 e la mia idea è quella di non chiederne il rinnovo. È una decisione sofferta ma i motivi anagrafici sono preponderanti in questo caso».

Lei lascerà molto presumibilmente un Festival forte, sia dal punto di vista artistico che organizzativo: un Festival che avrà bisogno di un presidente diverso?
«Sono sempre stato un presidente operativo che ci tiene a curare ogni dettaglio, ma ora posso contare sul Managing Director Raphäel Brunschwig che ha acquisito molta dimestichezza con gli aspetti finanziari e operativi, mentre Giona Nazzaro sta facendo cose splendide nel campo artistico. L’essenziale però è che i due direttori vadano d’accordo, perché se ciò non accade le cose non funzionano. Io sono sempre disponibile sette giorni su sette, ma devo imparare a fare “soltanto” il presidente, devo distanziarmi dal soprannome in dialetto che era stato dato all’epoca al mio trisnonno: Scià mì (Faccio io si potrebbe tradurre: n.d.r.). Devo imparare a tenermi a bada ma la squadra sulla quale posso contare è davvero splendida e per molti aspetti fa già capo al Managing Director, le cui responsabilità sono cresciute in forma esponenziale».

E quindi il futuro Presidente del Festival dal 2024 potrebbe avere più compiti di rappresentanza e meno compiti operativi?
«È una possibilità che dovrà essere discussa in seno al Consiglio d’amministrazione. Non sarò certo io a dettare gli orientamenti futuri ma è vero che anche in questo caso, una volta di più, la teoria secondo cui la strategia viene prima della struttura e la struttura prima delle persone non funziona. È un concetto che ho sempre fatto fatica a recepire, sin dagli esami di Economia pubblica all’università, perché intuitivamente ero già convinto - e tutta la mia vita professionale me l’ha confermato - che quel che conta in primo luogo sono le persone. Le strategie hanno una loro importanza, ma le strutture sono sempre state influenzate dalle persone e ciò l’ho vissuto anche nelle grandi aziende. La sensibilità, il carisma, l’intelligenza, le conoscenze, la voglia di fare, la capacità di motivazione influenzano tutto.

Il Festival di Locarno ha sempre puntato sulle persone, e a volte ci si può anche sbagliare, ma è giusto che sia così». Veniamo all’edizione appena terminata: è soddisfatto dell’affluenza del pubblico?
«Rispetto all’edizione 2019, l’ultima svoltasi in condizioni normali, il pubblico è diminuito del 20% circa ma per noi si tratta di un successo immenso. Con un certo ottimismo avevamo previsto un calo del 30% di spettatori, invece arriviamo più o meno agli stessi numeri di Piazza Grande del 2019 e quindi possiamo affermare che il pubblico del Festival è tornato a seguirci fedelmente ed è un pubblico che vuole soprattutto vivere delle emozioni collettivamente, come capita nella piazza di Locarno. Questa scommessa è dunque stata vinta, mentre l’affluenza nelle sale ha rispettato più o meno le nostre attese. Adesso lascio agli esperti analizzare queste cifre e la diversa risposta degli spettatori tra proiezioni all’aperto e al chiuso. E non è da escludere che per queste ultime giochi ancora la paura della COVID, ma può aver contato anche il sistema più severo di prenotazioni che però ha il grande pregio di eliminare le code e le delusioni per chi, dopo aver atteso a lungo, non poteva entrare in sala per mancanza di posti. Sarà inoltre importante analizzare i dati che riguardano l’età e la provenienza del nostro pubblico. I giovani mi sembrano molto presenti in Piazza Grande e ciò grazie al fatto che Locarno oggi è un festival intergenerazionale a tutti gli effetti, che ha saputo rinnovarsi e diventare attrattivo anche per loro, come ha dimostrato il successo della serata inaugurale con il film Bullet Train. Penso che siamo uno dei festival che ha saputo reagire meglio alla crisi della pandemia e oggi vedo Locarno come un festival al galoppo, grazie soprattutto all’impegno assoluto di tutte le collaboratrici e di tutti i collaboratori che continuano a guardare avanti».

Cosa manca al Festival per vivere una 80. edizione migliore di questa?
«Per cominciare, spero che tra cinque anni il Festival potrà di nuovo contare sul Grand Hôtel, anche come luogo dedicato all’aspetto mondano. Ho buone speranze che ciò possa accadere, perché l’attuale promotore mi sembra la persona giusta per realizzare il progetto, una volta evaso il ricorso ancora pendente. D’altra parte però, a contare ancora di più per Locarno sarebbe il poter avere a disposizione un nuovo FEVI, perché il Festival ha assolutamente bisogno di una sala con una capienza di almeno 3.000 persone per non perdere la dimensione popolare di cui vive la manifestazione. C’è però un rebus non facile da risolvere concernente la durata dei lavori, ma toccherà ai tecnici e agli architetti trovare una soluzione. Poi è chiaro che se sarà necessario utilizzare provvisoriamente delle strutture alternative lo si farà, ma una sala di queste dimensioni è una necessità assoluta. Senza dimenticare nemmeno la ex caserma di Losone, il cui splendido progetto di ristrutturazione è stato bloccato anche in questo caso da un ricorso. Anche in questo caso sono state trovate delle soluzioni alternative per il BaseCamp ma senza riuscire a ricreare quell’atmosfera che si era riusciti a creare. Queste esperienze mi hanno però insegnato che a livello personale non c’è niente di più vano dei rimpianti, mentre in generale non c’è niente di più vano del cercare di cambiare ciò che non puoi cambiare. Si può solo accettare, guardare avanti e continuare a lottare». Corriere del Ticino 

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