L'esperto

«I vaccini? Una questione di informazione, educazione e trasparenza»

Il professor Alessandro Diana (UNIGE) spiega come in Svizzera si siano registrati soprattutto ritardi, ma non drastici cali - «Importante l’onestà della scienza»
© CdT
Paolo Galli
20.04.2023 06:00

La fiducia nei vaccini è in calo. Anche a causa della pandemia. Ma com'è la situazione in Svizzera? «Per me non è ancora del tutto chiara la relazione tra la pandemia e le tendenze relative alla copertura vaccinale». Ad ammetterlo è Alessandro Diana, pediatra e infettivologo, professore all’Università di Ginevra, una delle voci rivelatesi più affidabili nel corso della pandemia stessa. «La mia impressione è che non tutto sia iniziato nel 2020. Qualcosa c’era già prima». Diana sottolinea come la questione sia più complessa e non abbia una sola dimensione. «Ci sono dimensioni storiche, culturali, ma anche geopolitiche. In diversi Paesi, l’Occidente non può più presentarsi con una campagna di vaccinazione per tutti. Non è più accettato. Basti pensare alla finta campagna di vaccinazione messa in piedi in Pakistan per arrivare alla cattura di Bin Laden: oggi come verrebbe presa una nuova campagna reale? E intanto è ripartita la poliomielite».

L’esitazione vaccinale

Diana ricorda che, più in generale, rimane comunque il principio dell’esitazione vaccinale, di quel fenomeno che l’OMS ha inserito tra le dieci principali minacce per la sanità mondiale. «Un’esitazione che può di fatto essere personale, ma anche collettiva. Se perdi fiducia nel tuo governo, nelle sue campagne, comprese quelle di vaccinazione, allora riesci anche a trovare una ragione per non vaccinarti». in Svizzera la copertura resta buona. «Non abbiamo visto drastici cali in questo senso, ma semmai ritardi nelle vaccinazioni. Magari, al posto che a due anni, alcuni bambini si sono vaccinati a tre». Ma la riflessione del professore torna a essere più generale: «La mia impressione è che la vaccinazione per il COVID abbia indotto in alcuni una esitazione estrapolata. D’altronde alcune decisioni sono difficilmente comprensibili. Penso per esempio alla campagna tuttora in corso negli Stati Uniti, dove il CDC (l’organismo di controllo sulla sanità pubblica americana, ndr) continua a raccomandare booster a poche settimane di distanza l’uno dall’altro, a tutti, a partire dai sei mesi di vita. Ma non c’è alcuna ragione per farlo. Fortunatamente, in Svizzera, è stato precisato che per primavera ed estate non se ne parla, che non ce n’è bisogno». Altrimenti si capiscono i dubbi. «Si entra nella dimensione del possibile complotto. Sulle vaccinazioni, ciò che conta di più è, al contrario, la fiducia. Una questione quindi di educazione, di informazione come prima soluzione, di trasparenza».

Una sfida complessa

Comunicare la scienza è una sfida complessa, lo si è capito durante la pandemia. «Io stesso - ammette Diana -, nella mia esperienza con il COVID, ho capito che la scienza in questo senso va prima di tutto tutelata. E per farlo a volte bisogna riconoscere ciò che non si sa, oppure i propri sbagli. La scienza non sa tutto, parte dalle ipotesi e le verifica. Ma non deve fingere di sapere tutto, proprio perché perderebbe la fiducia della popolazione. Al contrario, ammettere ciò che non si sa - è già stato analizzato - fa aumentare la fiducia. In Svizzera, in questo senso, l’approccio è esemplare. Anche per questo non ho l’impressione che molte più persone, rispetto a una decina di anni fa, evitino le vaccinazioni. Al massimo assistiamo a piccoli ritardi. Ma appunto è una questione di fiducia e di educazione».

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