La recensione

SMuM Big Band, grande jazz e amicizia

Terza fatica discografica per il prestigioso e celebre ensemble della Scuola di Musica Moderna di Lugano e Losone
La formazione della SMuM Big Band guidata da Giorgio Meuwly (il primo a sinistra nella foto) e Gabriele Comeglio (al centro del gruppo dei sax).
Mauro Rossi
06.10.2022 06:00

Non c’è scuola di musica che si rispetti che non abbia un proprio ensemble che, oltre a fungere da importante biglietto da visita, regala ad allievi e insegnanti una straordinaria opportunità di confronto su un terreno diverso e più «reale» di quello accademico. È così anche per la Scuola di Musica moderna (SMuM) di Lugano e Losone, da quasi un trentennio principale punto di riferimento nella Svizzera italiana per l’insegnamento del jazz sia a livello amatoriale sia a uno stadio pre-professionale (è ’unico Istituto cantonale che prepara gli studenti per le Hautes écoles de musique – i Conservatori del jazz) e che da lungo tempo si è dotata di quella che, in ambito jazzistico, è l’autentica ammiraglia delle formazioni: una Big Band della quale fanno parte alcuni insegnanti nonché meritevoli allievi (alcuni dei quali, nel corso del tempo, sono poi passati dall’altra parte della barricata). La SMuM Big Band ha alle spalle una lunga e felice storia fatta di esibizioni in importanti rassegne musicali, di un repertorio di assoluto livello e di alcune pregevoli incisioni che si avvalgono della presenza, in veste di ospiti, di importanti stelle del jazz internazionale. Incisioni che in questi giorni si arricchiscono di un nuovo importante capitolo: Blues for Los Amigos, album che l’ensemble ha realizzato «sfruttando» in fase di composizione e di realizzazione le proprie risorse: dei dieci brani che compongono il disco ben sette portano infatti la firma dell’autentico «deus ex-machina» non solo della band ma dell’intera scuola, il compositore e chitarrista Giorgio Meuwly, mentre gli arrangiamenti sono stati curati dallo stesso Meuwly e da un’altra colonna dell’ateneo, il sassofonista e direttore d’orchestra Gabriele Comeglio. Il risultato di questo lavoro produttivo a quattro mani (cui vanno aggiunte quelle della Rete Due della RSI, partner dell’operazione) è un disco fresco, frizzante e brioso le cui atmosfere si rifanno a quelle dell’epoca d’oro di questo organico ma senza intenti né manieristici né revivalistici bensì cercando – riuscendoci – di ridare al jazz quella pienezza di suoni e arrangiamenti che negli ultimi decenni (complice il ripiegamento, per una serie di ragioni, non ultime quelle finanziarie, su complessi più ridotti) si è perso.

Fondamentale nell’esito di Blues for Los Amigos è ovviamente, oltre all’ottima struttura e l’affiatamento dell’ensemble (una ventina di elementi tra cui una potentissima sezione fiati) la qualità delle composizioni, firmate come dicevamo in massima parte da Giorgio Meuwly e che «spaziano su diversi periodi creativi dell’autore, in un arco temporale che dal lontano 1973 conduce sino ai nostri giorni» evidenziando da un lato la sua crescita artistica ma anche mettendo in risalto quello stile e quel suono denso e ruvido «sospeso fra John Scofield e Jimi Hendrix che lo accompagnano da sempre, senza concessioni alle mode o agli idoli del momento», come si legge nelle note di presentazione dell’album. A queste sette composizioni, nei cui titoli Meuwly ha anche voluto fissare momenti particolarmente significativi del suo percorso musicale ma anche umano (si va da San Salvatore, omaggio a Lugano e alla montagna – l’altro grande amore del compositore – a Teddy’s Blues dedicato ad un amico prematuramente scomparso, dalla title-track dedicata all’amicizia a Days Like This che rievoca spensierate vacanze estive) il disco affianca tre standard: Scrapple Form The Apple di Charlie Parker, da sempre parte del repertorio «live» della band, Sweet Lorraine di cui si ricorda una mirabile versione di Fats Waller e Air Mail Special di Benny Goodman e reso immortale da Ella Fitzgerald. Il tutto realizzato con i preziosi ceselli di alcuni importanti ospiti quali il pianista Antonio Faraò, i sassofonisti Bob Mintzer e Scott Hamilton e l’immancabile tromba di Franco «The President» Franco Ambrosetti.