Cultura

La «María» di Finzi Pasca diventa manifesto delle donne

A Ginevra è andata in scena l’opera «María de Buenos Aires» composta dall’argentino Astor Piazzolla – La produzione, diretta dal regista Daniele Finzi Pasca, ha trasportato il Grand Théâtre in un mondo sognante e ghiacciato
Giorgia Cimma Sommaruga
08.11.2023 06:00

Ginevra, una delle città culturalmente più vivaci e cosmopolite in Svizzera, ha ospitato negli scorsi giorni  (dal 3 al 5 novembre)lo spettacolo María de Buenos Aires di  Astor Piazzolla con la regia del ticinese Daniele Finzi Pasca, tornato nella città romanda dopo aver aperto la stagione del Grande Théâtre nel 2019 con lo straordinario Einstein on the beach di Philipp Glass e Bob Wilson. Una incredibile produzione che ha catturato l’attenzione e l’immaginazione degli spettatori proiettandoli in un viaggio emozionante. La lettura che il regista luganese ha dato di  María de Buenos Aires, «l’operita» di Piazzolla che, nonostante le numerose riprese – in particolare in occasione del centenario di Astor Piazzolla nel 2021 – non aveva forse ancora conquistato il posto che merita all’interno del repertorio contemporaneo,   ha infatti restituito al pubblico un’opera sognante:«non volevamo cadere nello stereotipo e proporre qui in Svizzera una produzione che copiasse quello che farebbero gli argentini», ha spiegato Finzi Pasca. «Abbiamo allora scelto di sognare questa Buenos Aires». 

Da Buenos Aires alla Svizzera

E lo si è visto dalla sorprendente scenografia di Hugo Gargiulo. Dal pattinaggio artistico, alle comparse vestite con cappotti, pellicciotti e colbacchi. In Svizzera, osserva il regista, «conosciamo il freddo e il ghiaccio e possiamo ballare sul ghiaccio», come avviene in una delle scene più suggestive. Una versione   irreale della città di Buenos Aires,  dunque,  dove ad andare in scena è  «un mondo invernale, magico, totalmente sospeso», descrive, e allora si apre il palcoscenico. Uno scenario cimiteriale da «día de muertos» accompagnato dal colore rosso dei fiori deposti sulla bara di María. 

La storia di María e le altre

Creata nel 1968 dal maestro del «nuevo tango argentino» su libretto di Horacio Ferrer, María de Buenos Aires si ispira ad una leggenda della metropoli argentina dedicata ad una giovane operaia che dopo essere diventata una cantante di successo nei cabaret della città, si ritrovò a lavorare in un bordello dove morì giovanissima. Metafora e simbolismo sono il sale e il pepe della  storia e consentono numerose interpretazioni o reinterpretazioni. Così María può essere assimilata alla città di Buenos Aires (come canta la stessa protagonista «Yo soy María de Buenos Aires, De Buenos Aires María yo soy») con i suoi drammi, la sua violenza, le sue leggende e la sua magia,  ma anche al tango stesso: rinasce sulle sue note. E poi le suggestioni cristiane che vedono la vicenda della giovane come una rilettura della Passione di Cristo. Tuttavia a Ginevra la produzione di Finzi Pasca ha voluto essere – a tutti gli effetti – manifesto del destino della protagonista. La scelta – davvero convincente – vuole far riflettere su quanto ancora oggi, in molti luoghi del mondo, le donne cercano invano di essere libere. E allora la decisione – come spiega lo stesso regista – in controtendenza rispetto alla partitura originale, delle soliste: un quartetto femminile. «Abbiamo deciso di mettere in scena diverse María»,  spiega Daniele Finzi Pasca. «Questa donna è un simbolo e rappresenta un destino più grande di lei. Racconta le storie di molte donne». 

Un tango sulla ruota Cyr

E il pubblico ginevrino ha colto e apprezzato questa suggestione.  Lo conferma la «standing ovation»  che domenica sera dopo che il soprano Raquel Camarinha (che ha interpretato il ruolo della protagonista) e la cantante Inés Cuello hanno bissato l’interpretazione dell’iconica Yo soy María salutando l’ultima replica dello spettacolo.  Spettacolo, della durata di poco meno di due ore, che ha sorpreso durante tutte le sue 17 scene, mettendo ulteriormente in risalto lo straordinario affiatamento  tra il regista Daniele Finzi Pasca, lo scenografo Hugo Gargiulo e la coreografa Maria Bonzanigo.  A dare un ulteriore tocco di originalità alla produzione, le consuete acrobazie circensi che fanno parte del DNA della compagnia: quelle degli acrobati sulla ruota ruota Cyr, il numero di pole dance, il balletto sui letti e la sequenza di danza sul ghiaccio. Tutto molto bello, ben riuscito e allo stesso tempo lontano dalla classica rappresentazione del tango argentino. Che pure si sentiva forte e chiaro attraverso la musica dell’Orchestra e del Gran Coro della Haute école de Musique de Genève, da alcuni membri del Cercle Bach, il tutto sotto la direzione del maestro Facundo Agudin, e nelle voci di Melissa Vettore e Beatriz Sayad (che hanno condiviso il ruolo parlato del Duende: il folletto), evidenziando così il testo per nulla facile di Horacio Ferrer. 

Uno spettacolo insomma perfettamente riuscito. Attraverso l’emozione, le novità, la musica, i colpi di scena, le parole e la forza di questa partitura, era chiara la speranza del regista, e dell’intera produzione: far riflettere, attraverso l’arte, sui motivi per cui ogni giorno nascono «Marías» (donne) che moriranno troppo giovani e in modi atroci, ma che avranno tentato ostinatamente di cambiare il proprio destino.

Daniele Finzi Pasca: «L'urgenza di riflettere attraverso l'arte sui drammi della vita»

Il colore rosso collega ogni scena e risalta il ruolo femminile. Come mai questa scelta?
«Il testo contiene proprio lo stereotipo dei bassifondi di Buenos Aires dove il ruolo della donna che cerca la sua autonomia diventa subito quello di una prostituta. Il collegamento è diretto in questo testo. Ecco  allora che ho cercato di estrapolare tutti i personaggi maschili e li ho trasformati al femminile per riuscire a vedere come delle interpreti donne leggono testi del genere un poco intrisi di machismo. E poi c’è questa linea critica, un parallelo con Gesù in cui il destino della figura femminile nasce e rinasce. Quindi ho cercato di pensare all’opera come fosse una grande messa dedicata proprio al destino di tante donne, di ragazze e di bambine che nascono - anche oggi – e il loro destino infausto è già segnato». 

Attualissimo. 
«Sì. Attuale e urgente. Pensiamo a ciò che sta succedendo nei paesi in guerra, o in tutto il resto del mondo in questo momento. Non è una María ma sono tante. Ecco il perchè della scena dve ballano questi pupazzi femminili, forse in modo giocoso, leggero, ma è così che il dramma può entrare inaspettatamente e aprire i nostri occhi. E se qui, in Svizzera, è stato un messaggio potente, adesso stiamo pensando anche di portare lo spettacolo a Dubai». 

Questa musica è entrata sottopelle e si è fatta portatrice di un forte messaggio, com’è stato possibile?
«Grandi talenti all’interno dell’orchestra, rinforzati anche dalla presenza di noti maestri argentini: addirittura alcuni hanno proprio lavorato con Piazzolla. E poi Facundo Agudin, il direttore, è di Buenos Aires! Quanti collegamenti che rendono tutto così emozionante. E poi il libretto…». 

Si è di Horacio Ferrer.
«Fenomenale! Lui era di Montevideo ma ha vissuto a Buenos Aires. Tanti anni fa durante un viaggio entrai in un bar e l’amico argentino con cui ero mi indicò un tale seduto ad un tavolo con un’aria molto baudelairiana e mi disse: «Lui è uno dei nostri più grandi poeti». Era proprio Ferrer! Un genio assoluto».