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I serial killer? Troppi luoghi comuni

Affrontiamo il fenomeno con lo psicologo e criminologo Ruben De Luca
Carlo Silini
14.05.2022 06:00

Dici serial killer e nove volte su dieci pensi a un film, probabilmente americano. Certo, lo sai bene che ci sono anche da noi – in Europa e in Svizzera - quei signori (e quelle signore) che rispondono al profilo dell’omicida seriale da incubo urbano o campagnolo. Ma se ne parla poco, forse anche perché il fenomeno non era ancora stato studiato così a fondo come negli States. Pochi mesi fa, tuttavia, lo psicologo e criminologo Ruben De Luca, che nel 2001 aveva creato un archivio in costante aggiornamento sugli assassini seriali identificati in Europa, ha dato alle stampe il volume Serial Killer. Una lunga linea di sangue attraversa l’Europa (Newton Compton, 2021) che fa il punto della situazione nel nostro continente. Lo abbiamo intervistato.

Ruben De Luca, «Serial Killer» è un testo unico in Europa. Come è nato, quanti anni di lavoro ha comportato e come ha sviluppato la banca dati?
«La realizzazione concreta del libro mi ha richiesto tre anni di lavoro, tra fase di progettazione, contattare gli altri esperti europei e la scrittura materiale del testo. Sono stato agevolato dal periodo di lockdown perché, essendo costretto a rimanere chiuso in casa, ho potuto concentrarmi sul libro lavorando in media 10-12 ore al giorno. In realtà, l’idea di scrivere un libro del genere mi frullava in testa da più di vent’anni, da quando ho creato la Banca Dati Europea dei Serial Killer nel 2001 ma, all’epoca, i tempi non erano maturi per farlo perché lo studio dell’omicidio seriale in Europa era in fase embrionale. All’inizio, la mia Banca Dati, che ho chiamato ESKIDAB (European Serial Killer Data Bank) conteneva pochissimi nominativi, solo quelli che avevo trovato nelle Enciclopedie sull’argomento che erano state pubblicate fino a quel momento, prevalentemente negli Stati Uniti e in Inghilterra, e, per ognuno di essi, le informazioni a disposizione erano scarse».

E poi?
«Ci sono voluti vent’anni di ricerca costante e ossessiva per sviluppare ESKIDAB in modo che fosse una Banca Dati realmente rappresentativa del fenomeno in Europa. Proprio allo scopo di rendere comparabili le statistiche dei diversi Paesi, ho concentrato la mia ricerca sui casi avvenuti dal 1801 a oggi, perché è solo dal XIX secolo che la stampa si è diffusa in maniera capillare e i resoconti scritti dei processi sono diventati prassi generalizzata in tutto il continente. Ho poi consultato tutti i libri sull’omicidio seriale in Europa pubblicati in qualsiasi lingua, la rassegna stampa di ogni singolo Paese europeo e qualsiasi altra fonte d’informazione nella quale mi sia capitato d’imbattermi, verificando ogni singolo caso attraverso più fonti».

Il termine è relativamente recente ma si può dire che i serial killer sono sempre esistiti?
«Il termine è stato usato per la prima volta alla fine degli anni ’70 dall’FBI negli Stati Uniti, ma la definizione di “omicidio seriale” nasce in Europa, in Germania, nel 1930. In realtà, i serial killer sono sempre esistiti, fin dall’antichità, perché si tratta di un tipo di crimine strettamente collegato a due attività fondamentali dell’essere umano: l’atto di uccidere e la tendenza alla serialità nei comportamenti. Tutti noi tendiamo a ripetere quei comportamenti che ci procurano piacere e gratificazione, tendiamo a creare delle abitudini: il problema del serial killer è che a lui/lei piace uccidere e, quindi, ripeterà sempre la stessa azione perché soddisfa il suo desiderio di sentirsi onnipotente».

Con le conoscenze di cui disponiamo oggi, le azioni criminali degli imperatori romani Nerone e Caligola sarebbero descritte come quelle dei serial killer

Quali esempi storici può fare?
«Con le conoscenze di cui disponiamo oggi, le azioni criminali degli imperatori romani Nerone e Caligola sarebbero descritte come quelle dei serial killer. Nel Medioevo era possibile uccidere persone di classi sociali più svantaggiate avendo la certezza quasi assoluta dell’impunità perciò, sicuramente, ci sono stati tanti assassini seriali che non sono mai stati definiti come tali. Quanto al vostro Paese, il primo serial killer attivo in Svizzera il cui nominativo è presente in ESKIDAB è Joseph Haas, un uomo originario di Krienz, che ha stuprato e ucciso due donne tra il 1825 e il 1826 a Lucerna. Haas è stato condannato a morte e ghigliottinato il 3 ottobre 1827».

Quanti sono i serial killer nel mondo, in Europa e in Svizzera?
«È praticamente impossibile avere informazioni attendibili su quanti omicidi seriali avvengono in ogni continente. Per quanto riguarda l’Europa, i dati di ESKIDAB aggiornati alla data di uscita del libro (settembre 2021) riportavano 2.226 serial killer identificati e attivi dal 1801 in poi, con le nazioni più industrializzate del continente (Russia, Ucraina e tutti i territori dell’ex Unione Sovietica; Inghilterra, Germania, Francia e Italia) a rappresentare il 70% di tutti i casi. In Svizzera ci sono 26 serial killer identificati. Otto casi sono avvenuti nel XIX secolo, cinque nella prima metà del XX e undici tra il 1951 e il 2000. I tre serial killer più recenti sono stati Urs Hans von Aesch (5-6+ vittime; periodo omicidi: 1980-2007), Roland Kubler (3-4+ vittime; periodo omicidi: 1982-2008) e Claude Dubois (2 vittime; periodo omicidi: 1998-2013). L’unico serial killer moderno che ha un numero di vittime sicuramente in doppia cifra è Roger Andermatt, un infermiere che ha ucciso 22 pazienti (ma potrebbero essere anche 25) tra il 1995 e il 2001. Nel 1880 un’altra infermiera, Jean Raies, aveva ucciso 12 pazienti. Nel 2021, è stato condannato all’ergastolo Reto D. (il cognome è indicato solo con la lettera iniziale per la privacy) che nel 2016, nello spazio di cinque settimane, ha ucciso soffocandoli due uomini a Boppelsen».

Qual è lo stato dell’arte su questo argomento in criminologia (a partire dagli studi dell’FBI fino ad oggi)?
«Lo studio dell’omicidio seriale è un settore della criminologia relativamente giovane. Più o meno, se ne parla nello specifico da una cinquantina d’anni e la maggior parte del pubblico ha la percezione che gli unici a studiare approfonditamente la psicologia dei serial killer siano stati gli americani e gli inglesi, perché tutti i libri più conosciuti che parlano dell’argomento sono scritti in inglese. Invece, nel percorso di progettazione e realizzazione di questo mio lavoro, mi sono accorto che, a prescindere dall’Inghilterra, esiste una scuola criminologica europea molto attiva che si occupa di omicidio seriale, ma i lavori di questi stimabili professionisti non sono conosciuti al di fuori dei rispettivi paesi d’origine perché i loro libri sono pubblicati solo nella lingua natale. Quello che mi ha fatto particolarmente piacere è che la maggior parte dei professionisti che ho contattato via mail hanno aderito con entusiasmo al mio progetto, chi rispondendo a brevi interviste via mail, chi accettando addirittura di scrivere un contributo originale da inserire nel libro».

I serial killer sono mediamente intelligenti, alcuni un po’ di più, alcuni meno, ma il genio del male alla Hannibal Lecter è un’invenzione letteraria

Per esempio?
«Stephan Harbort, criminologo tedesco che si occupa di serial killer da più di vent’anni e di cui non conoscevo i magnifici libri e le illuminanti teorie per colpa della barriera linguistica; Andreas Frei, psichiatra di Basilea, con il quale mi sono confrontato sui serial killer in Svizzera; il polacco Jaroslaw Stukan, che mi ha fornito la sua lista di assassini seriali in Polonia e che è stato il primo a rispondere con entusiasmo alla mia richiesta di collaborazione. E così tutti gli altri fantastici colleghi che sono presenti nel libro a vario titolo».

All’inizio del suo saggio lei sfata alcuni miti. Per esempio, che i Serial killer siano geni del male. Non lo sono, quindi?
«I serial killer sono mediamente intelligenti, alcuni un po’ di più, alcuni meno, ma il genio del male alla Hannibal Lecter è un’invenzione letteraria. Nella vita vera, spesso i serial killer sono persone banali, che hanno un’esistenza di facciata apparentemente normale. La loro intelligenza è di tipo pratico, orientata a eseguire i crimini senza farsi catturare, non sono filosofi, appassionati delle belle arti o soggetti con un QI da genio. La Banalità del Male è il concetto che li rappresenta meglio».

Non è vero che sono mossi soprattutto da moventi sessuali?
«Diciamo che quelli che vengono maggiormente pubblicizzati dai mass media sì. Il serial killer a movente sessuale è stato il primo tipo a essere studiato dall’FBI e quindi è diventato la figura più familiare. I serial killer più famosi, sui quali si è concentrata l’attenzione dei mezzi d’informazione e sui quali sono stati scritti libri e girati film, a partire da Jack lo Squartatore, mostravano forti componenti sessuali nei loro omicidi. Ciò che, però, la maggior parte del pubblico non sa (e neanche molti addetti ai lavori) è che, nel 2005, c’è stato un Simposio internazionale al quale hanno partecipato 135 esperti provenienti da dieci Paesi che hanno concordato una nuova definizione di serial killer: colui (o colei) che uccide due o più vittime in eventi separati. Stop. Nessun accenno al movente, quindi solamente un criterio numerico. In realtà, studiando nella mia attività professionale, più di cinquemila biografie di assassini seriali di tutto il mondo, mi sono accorto che la motivazione di questi soggetti è una ed è sempre la stessa: il desiderio di esercitare potere e controllo sulla vita di altri esseri umani. Il sesso può essere un mezzo per ottenere lo scopo, ma non è mai il fine ultimo».

È vero che le vittime di solito sono scelte casualmente e che il movente della vendetta è molto meno frequente di quanto immaginiamo?
«Nella maggior parte di casi si tratta di una vendetta simbolica, cioè verso un’intera categoria di persone che il serial killer ritiene responsabile delle proprie sofferenze e umiliazioni. Ad esempio, gli assassini seriali che uccidono solo donne hanno sviluppato un odio profondo per il genere femminile, spesso perché hanno avuto un pessimo rapporto con la madre e poi magari, in seguito, hanno incontrato altre figure femminili che li hanno trattati male. Ovviamente, non tutti gli uomini che hanno esperienze negative con il femminile diventano serial killer, ma alcuni tra quelli che hanno bassa autostima e scarsa capacità di tollerare le frustrazioni, sì. Per quanto riguarda la scelta delle vittime, alcuni serial killer sono interessati all’atto di uccidere in sé e scelgono vittime a caso. Altri prendono di mira una categoria di vittime ben precisa, come appunto le donne, o i bambini o altri uomini, soprattutto nel caso dei serial killer omosessuali. Tra gli assassini seriali che prendono di mira le donne, la vittima d’elezione è la prostituta, non tanto (e non solo) in un’ottica da missionario perché rappresenta il “peccato”, ma soprattutto per motivi opportunistici: è facile da avvicinare, l’interazione verbale è ridotta al minimo ed è una vittima ad alto rischio che sta in posti isolati e sale facilmente in macchina con uno sconosciuto». 

© Shutterstock
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E le donne? Poche, ma molto letali

Esistono serial killer donne?
«Di solito, le donne non agiscono perversioni sessuali e quindi molti cosiddetti “esperti”, che non sono aggiornati , non le considerano assassine seriali. In realtà, dal 1801 al 1950, le donne serial killer, pur essendo numericamente inferiori agli uomini, hanno ucciso un numero maggiore di vittime perché tra esse c’erano molte Vedove Nere (donne che uccidono in serie mariti e amanti), Baby Farmers (donne che si offrivano di prendersi cura dei bambini non voluti o illegittimi e invece li uccidevano) e Angeli della Morte (infermiere che uccidono pazienti in strutture sanitarie)».

Ci sono casi in Svizzera?
«Ho già citato il caso di Jean Raies, un’infermiera condannata nel 1880 per l’omicidio di dodici pazienti. In precedenza, c’era già stato il caso di Marie Jeanneret, un’infermiera che aveva ucciso cinque pazienti a Ginevra tra il 1865 e il 1868. Il caso più recente è quello di Caroline H., una donna serial killer di cui sono venuto a conoscenza grazie al lavoro di Andreas Frei che si è occupato personalmente di lei effettuandone la perizia. Caroline H. ha ucciso due donne a Zurigo, nel 1991 e nel 1997, e ha tentato di commettere un terzo omicidio. Odiava l’intero genere femminile, aveva grossi problemi a controllare gli impulsi e soffriva di cambi d’umore repentini e immotivati. Secondo l’analisi di Andreas Frei, il caso di Caroline H. ha rappresentato un esempio lampante di fallimento della psichiatria forense e del sistema legale svizzero perché già nel 1992 un medico aveva raccomandato l’internamento a tempo indeterminato della donna, ma il suo parere non era stato ascoltato. Tra i 26 casi di serial killer in Svizzera registrati in ESKIDAB, ho trovato solo tre donne. In tutta Europa, le donne serial killer sono 324 su 2.226 (il 15% del totale)».

Mentre assistiamo inermi alle stragi di guerra in Ucraina ci chiediamo se fra i serial killer nascosti di cui parla nel suo libro non ci siano anche cecchini regolarmente assoldati dagli eserciti…
«In ogni conflitto violento, soprattutto in quelli nei quali vengono massacrati civili innocenti, esistono dei serial killer nascosti, cioè dei soggetti privi di empatia e con tendenze psicopatiche e sadiche che ucciderebbero anche senza alcun motivo “legittimo”. Sono individui che, proprio grazie al conflitto, possono sfogare le loro pulsioni sadiche dandosi una giustificazione di facciata (il fatto di obbedire a un ordine, ad esempio) senza essere additati come “mostri” o essere perseguiti. Il serial killer “nascosto” si riconosce perché usa un grado di violenza spropositato rispetto al contesto, sovente utilizza la tortura prima di uccidere, e prende di mira vittime innocenti che non fanno parte dell’esercito nemico. In tutte le situazioni di “pulizia etnica” e di genocidio, esistono queste figure».